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LA FIGURA DI GARIBALDI TRA MITO E LEGGENDA
IL SUO RAPPORTO CON CASA SAVOIA E IL MAESTRO MAZZINI
Nella splendida cornice del parco della Villa di Corliano a San Giuliano Terme (PI) lo scorso 3 Luglio 2022, in occasione delle celebrazioni dei 150 anni dalla morte di Giuseppe Mazzini e dei 140 anni dalla morte di Giuseppe Garibaldi, si è svolta la Conferenza sul “Rapporto tra Mazzini e Garibaldi” organizzata dalla Domus Mazziniana di Pisa, dalla Fondazione Garibaldi e dal Circolo culturale Filippo Mazzei.
Dopo aver illustrato i cimeli risorgimentali esposti (la Bandiera Sabauda dei Cacciatori delle Alpi1859, la Bandiera Sabauda sventolante su Firenze Capitale d’Italia-1869 e il Tricolore del Granducato di Toscana con cui il Reggimento degli universitari pisani partecipò alla battaglia di Curtatore e Montanara-1848), il moderatore ha introdotto i tre illustri relatori: il Prof. Pietro Finelli Coordinatore del Comitato Scientifico della Domus Mazziniana di Pisa, che ha presentato una relazione sul tema “Un’amicizia tempestosa. Il complesso rapporto tra Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi”, il Dott. Gianluigi Valotti, storico e scrittore risorgimentale, che ha illustrato la figura di “Garibaldi dalla 1^ alla 3^ Guerra d’Indipendenza”, e l’Ing. Francesco Garibaldi-Hibbert, discendente diretto di Giuseppe ed Anita Garibaldi e Presidente dell’Associazione Nazionale Giuseppe Garibaldi, che ha narrato la vita della sua trisnonna Anita presentando la Bottiglia numerata celebrativa del bicentenario della nascita di Anita (1821-12021) da lui stesso ideata e realizzata in collaborazione con la Cantina Le Due Querce – Luis Franciacorta di Provaglio d’Iseo (BS). A conclusione delle singole esposizioni, dopo gli onori di casa del Conte Agostino Agostini, discendente diretto di Alamanno Agostini (Pisa, 1797-1844), fondatore della Giovine Italia a Pisa, e di Ferdinando Agostini (Pisa, 1823-1852), Istruttore del Battaglione universitario Curtatone, la Cantina Luis Franciacorta ha offerto alla nutrita platea una degustazione del Rosé Brut di Anita. La trattazione dei relatori si è dipanata complessivamente attorno a tre punti nodali: l’importanza del 1848 come anno di risurrezione della patria; la complicità tra il Re Vittorio Emanuele II e il Generale Garibaldi con il ruolo fondamentale giocato da Anita; il complicato rapporto tra Mazzini e Garibaldi. Il 1848 è stato da sempre identificato come l’anno della rivoluzione, l’anno in cui i valori annunciati dai tumulti settecenteschi acquistarono corpo e sostanza politica diffondendosi nell’intera Europa ed evidenziando la somma aspirazione della modernità politica: la Costituzione, ovvero il riconoscimento pubblico del protagonismo di individui intenzionati a deporre il ruolo di soggetti passivi per abbracciare quello di cittadini pronti ad esprimere il loro senso di appartenenza e di partecipazione attiva ad una nazione che doveva riconoscerne diritti e libertà: il diritto di calcare la scena politica come protagonisti, e la libertà come affrancamento dagli antichi e consuetudinari corporativismi e vincoli cetuali. Dal 1847 al 1849 è ben noto come gli Stati italiani divennero teatro di agitazioni filo-costituzionali e come lo Statuto Albertino, promulgato nel 1848 nel Regno sardo-piemontese (nel 1861, anno di proclamazione del Regno d’Italia, venne esteso a tutto il territorio nazionale), rappresentò il primo atto costituzionale dello Stato italiano. Numerosi sono stati gli episodi che hanno evidenziato come il Re sabaudo e il Generale fossero uniti da uno straordinario amore per l’Italia: l’uno, nutriva l’ardente ambizione di essere il “Primo Soldato dell’Indipendenza italiana”(1); l’altro, coraggioso e audace, era rientrato da Montevideo con l’intento di servire l’Italia affrancandola dall’oppressore con una guerra di redenzione. Entrambi -popolari, affabili e leali– si incontrarono per la prima volta nel marzo 1859 e tra i due si stabilì immediatamente una simpatia che resterà inalterata anche quando il loro legame verrà messo a dura prova dalle situazioni internazionali e da esigenze di politica interna. Da allora, le truppe che scesero in campo alla guida del Generale recarono sempre lo Scudo dei Savoia sovrapposto al Tricolore italiano, in ossequio alle disposizioni del Re. Dedizione e fedeltà del Generale al Re che, oltre a conferire ampie garanzie di affidabilità, determinò un legame sempre più stretto tra la storia di Casa Savoia e quella dell’unità istituzionale e civile della nazione italiana. Stima, rispetto e devozione anche quando nel 1859 Garibaldi ricambiò l’alta considerazione che Vittorio Emanuele II gli tributò -con una lettera scritta di proprio pugno- congratulandosi per la resa degli austriaci alle porte di Casale Monferrato (maggio 1859), inneggiando al Re galantuomo durante un discorso dal balcone del municipio di Varese (agosto 1859) dove, acclamato dal popolo, dichiarò che qualunque cosa potesse dirsi di Vittorio Emanuele II, non sarebbe mai stato abbastanza. La stessa spedizione di Sicilia del 1860 ebbe come motto “Italia e Vittorio Emanuele”. Stima, fervore e abnegazione anche quando Vittorio Emanuele II e Garibaldi si incontrarono nell’ ottobre 1860 alla taverna della Catena, nel territorio del comune di Vairano Patenora, provincia di Caserta (e non a Teano, come tramandato dalle narrazioni storiche), per chiarire le modalità di chiusura dell’operazione garibaldina. Anche in quell’occasione Garibaldi esortò la folla che si era raccolta lì attorno, ad intessere lodi al Re d’Italia. Con la consegna a Vittorio Emanuele II dei territori che aveva conquistato, il celeberrimo e lapidario Obbedisco di Garibaldi. E anche quando il Generale abbandonò Napoli per ritirarsi a Caprera (novembre 1860), rivolse un saluto agli italiani sollecitandoli a vedere nel Re sabaudo il solo indispensabile punto di riferimento per l’Italia. Eloquente, sotto tale rispetto, la lettera scritta a Genova da Giuseppe Garibaldi il 22 dicembre 1858 e destinata allo storico repubblicano Giuseppe La Farina, di seguito riportata.
“Carissimo Amico,
Parto oggi alle 9, ed in caso che le circostanze ci precipitino all’azione (ciò che non sarebbe
impossibile), mandatemi un vapore. Chiunque dei proprietari di vapori in Genova può dare un vapore per l’oggetto, in caso non si potesse mandare un vapore da guerra.
Gli elementi rivoluzionari sono tutti con noi: é bene che Cavour se ne persuada, in caso non lo fosse pienamente, che vi sia fiducia illimitata. Credo pure necessario che il Re sia alla testa dell’esercito, e lasciar dire quelli che lo tacciano di incapacità.
Ciò farà tacere le gelosie e le ciarle, che disgraziatamente fanno uno degli attributi di noi italiani. Egli sa oggi di chi si deve attorniare. La dittatura militare é nel convincimento di tutti: dunque, per Dio! che sia senza limite. Io ho raccomandato in Lombardia, in Toscana: ma non movimenti intempestivi a qualunque costo. La venuta delle leve nello Stato nostro, e quella degli studenti di Pavia é un fatto che voi potrete ingigantire a vostro piacimento. Io ho raccomandato che ve ne avvertano. Vi prego tanto di scusarmi su quanto vi ho detto. Io non ho certamente la pretesa di consigliarvi, ma di dirvi francamente la mia opinione.
Addio, comandate il vostro GIUSEPPE GARIBALDI” (2).
La notorietà e il fascino di Garibaldi hanno sempre rappresentato un ingrediente essenziale per conquistare la fiducia della gente comune e orientarla a sostenere la causa nazionale: aver reso popolare un’iniziativa nazionale, fino ad allora patrimonio esclusivo dell’ intelligentia, rese Garibaldi quel “miracolo del Risorgimento” (3) che aveva visto nella monarchia sabauda lo strumento unico, necessario e provvidenziale per realizzare l’unificazione politico-territoriale della penisola. Quanto ad Anita Garibaldi, ben noto è il suo ruolo di compagna e di combattente intrepida al fianco del Generale, tanto da essere venerata come la Madonna laica del nostro Risorgimento ed essere
eletta l’ Eroina dei Due Mondi (Anita combatté in difesa dell’istituzione di quattro repubbliche: la Repubblica Juliana nello stato di Santa Catarina; la Repubblica Riograndense; la Repubblica Uruguaiana e la Repubblica Romana in Italia). Abile cavallerizza, cavalcava senza sella e presto riscosse il rispetto e l’ammirazione dei compagni d’arme per il suo forte carattere e la ferrea determinazione di fronte alle avversità. Simbolo del coraggio femminile che nessun’altra donna italiana è riuscita sinora ad eguagliare, Anita condivise gli ideali politici del suo Josè, come lei lo
chiamava, e lo seguì ovunque, sostenendolo fisicamente e psicologicamente nei pericoli e nelle battaglie. La sua vita fu brevissima, morì a soli 28 anni, ma conobbe il sentimento di fede negli ideali dei rivoluzionari del suo tempo senza mai offuscare la passione per l’uomo che amava e lo zelo nel l’educazione dei propri figli Menotti, Rosita, Teresita e Ricciotti (durante la gestazione del 5° figlio decedette per setticemia). Nelle memorie autobiografiche di Garibaldi, scritte da A. Dumas, Garibaldi collocò la propria
iniziazione politica sotto una duplice stella: da una parte, Mazzini dal quale Garibaldi raccontò di essere stato iniziato alla Giovine Italia e agli ideali patriottici, dall’altra, gli apostoli saint-simoniani che durante una traversata del Mediterraneo gli avrebbero dischiuso le porte del cosmopolitismo umanitario. Quello rivendicato da Garibaldi è un rapporto, al contempo, di derivazione e di autonomo distanziamento da Mazzini, tant’è che la dialettica tra i due che incarnavano i due poli di attrazione del mondo democratico risorgimentale fu caratterizzata da momenti di attrazione e collaborazione e da fasi di repulsione e scontro, in un continuo alternarsi, da imputare certamente, sia a ragioni personali e alla carsica competizione per la leadership del mondo democratico, sia ad una sostanziale divergenza di visione politica tra i due: fedele al proprio repubblicanesimo, Mazzini, disponibile ad accettare la monarchia, Garibaldi.
Ma vi fu presumibilmente qualcosa di più profondo a dividere i due: grazie anche al suo lungo esilio britannico, Mazzini apparve convinto che la rivoluzione non potesse aver luogo senza le istituzioni liberali, mentre Garibaldi, figlio della democrazia ‘bolivariana’ sudamericana si rivelava decisamente meno attento alla difesa delle garanzie parlamentari e pronto – quando necessario – a difendere e ‘praticare’ la dittatura, sia pure di ascendenza romana. Dopo il 1860 le posizioni dei due si allontanarono progressivamente e sarà solo la morte di Mazzini a ricongiungerli con il telegramma di Garibaldi a Canzio con cui dispose che la salma del patriota genovese fosse accompagnata dalla bandiera dei Mille. Da quel momento nacque una nuova storia in cui i due Giuseppe trascesero i loro personali dissidi ideologici per diventare dei simboli per l’interno universo democratico: il Pensiero e l’Azione del Risorgimento. Spentosi a Pisa il 10 marzo 1872, una copia in gesso dei calchi originali del volto di Mazzini è conservata nei locali dello storico Caffè dell’Ussero, a cura dell’Accademia Nazionale dell’Ussero fondata nel 1959 nell’omonimo Caffè. Ciò per ricordare e far riflettere i visitatori sulla vita e l’eredità culturale di quel patriota del Risorgimento che, esule a Pisa sotto il falso nome anglofono di George Brown (secondo un’antica tradizione illuminista), fu assiduo frequentatore dell’ambiente intellettuale e universitario dello storico caffè cittadino fondato il 1° settembre 1775. Tra i calchi originali (realizzati nel marzo 1872 in pochi esemplari e conservati al Museo del Risorgimento di Roma, alla Collezione Anatomica “Paolo Gorini” (4) di Lodi e alla Fondazione Fioroni di Legnago), uno è conservato a Casa Agostini essendo stato donato ad Andrea Agostini, figlio di Alamanno fondatore della Giovine Italia a Pisa.
Note e riferimenti bibliografici
(1) Primo Soldato dell’Indipendenza italiana, stampa allegorica del Re Vittorio Emanuele II, realizzata
da Francesco Gonin, Accademia di Belle Arti Tadini, Lovere-BG;
(2) Lettera estratta dall’Epistolario di Giuseppe La Farina, raccolto da A.Franchi, MI, Treves;
(3) Il miracolo del Risorgimento. La formazione dell’Italia unita, D. Fisichella, 2010;
(4) Laureato in Matematica e Fisica, geologo, vulcanologo e noto preparatore anatomico, lo scienziato
Paolo Gorini -inventore di una formula chimica in grado di poter ridurre a stato lapideo i tessuti
organici- fu l’imbalsamatore di Giuseppe Mazzini nel 1872.
Ringraziamenti
Il presente articolo è stato scritto e curato da Angela Gadducci sulla base delle note fornite da:
Ing. Francesco Garibaldi-Hibbert;
Prof. Pietro Finelli;
Dott.Gianluigi Valotti
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