Le ragioni dell’odio e il suo linguaggio
Tra le passioni dell’essere umano, quella dell’odio si configura come uno stato emotivo di grave e persistente avversione verso qualcuno: eleggendo come bersaglio l’essere dell’altro, si esprime nella volontà di desiderare il male o distruggere l’oggetto odiato.
Non si tratta di un errore o di un incidente di percorso: l’odio è una passione lucida, una consapevole pianificazione di annientamento che si nutre della propria insaziabile collera. Al pari dell’amore, anche l’odio può renderci dipendenti, incatenarci; ma mentre l’amore nutre e apre alle gioie della vita, l’odio corrode, trasfigura l’esistenza umana conducendo alla distruzione e alla morte.
Più che per ciò che dice o fa, l’altro è odiato per come è o per ciò che rappresenta: per l’origine etnica, la nazionalità, l’orientamento religioso, quello sessuale, per il genere, la discendenza, la casata. Ed è proprio l’odio tra le due casate dei Capuleti e Montecchi a nutrire l’ultima versione dell’intramontabile tragedia di Giulietta e Romeo che è stata portata in scena il 19 novembre scorso al Teatro Quirino di Roma, per la regia di Gigi Proietti.
Come tutti i classici, anche la tragedia di Romeo e Giulietta si presta a continue riletture e adattamenti. Numerosi sono stati negli anni gli adattamenti di questa famosa tragedia. Tra quelli cinematografici merita di essere ricordato quello del 1968 a cura del regista Zeffirelli, mentre tra quelli musicali spicca West Side Story allestito per la prima volta a Broadway nel 1957.
Nella reinterpretazione di Proietti il successo è da ricondurre principalmente alla volontà di recuperare le radici storiche del teatro: un teatro da vivere come coralità, opera collettiva, lavoro d’insieme, da affidare all’impegno e alla freschezza di una nutrita compagnia di giovani interpreti, capaci di restituirgli lo spirito giocoso, la sua amenità.
Storia di odio e di amore
Secondo accreditate fonti storiche la vicenda si consumò nel 1303, quando Verona era governata dalla Signoria degli Scaligeri. In quell’epoca la popolazione veronese era divisa tra due opposte fazioni, ognuna legata ad una delle più potenti e ricche famiglie dell’aristocrazia locale dell’epoca, i Capuleti e i Montecchi che, accecate dall’avidità di danaro e dall’orgoglio smodato ed egocentrico, si osteggiavano da generazioni per la supremazia della città e del dominio economico del territorio. L’atavico e inestinguibile odio tra le due casate, senza permettere spiragli di chiarimento, degenerò in una serie di tragici e violenti avvenimenti, una vera e propria guerra civile che condusse a non poche uccisioni. Alimentata da un odio recondito, Ogni scusa era buona per sfidarsi a duello. Ed è proprio una rissa tra le due avverse fazioni ad aprire la tragedia.
Tutto è esattamente come nell’opera di Shakespeare: schiamazzi, urla concitate e rumori fragorosi animano la scena, ma i protagonisti indossano abiti moderni e, con tanto di cellulari alla mano, sono sempre pronti a scattarsi dei selfie. L’intento, nelle corde di Proietti, era quello di attingere ai contenuti eterni dell’opera immaginando lo spettacolo filtrato attraverso gli occhi degli adolescenti, peraltro presenti in gran numero in sala. Ed è proprio questo approccio che ha permesso di penetrare la tragedia al di fuori della convenzione e di viverla nel complesso dinamismo, nell’irrequietezza e instabilità propri dell’adolescenza, una prospettiva che non sempre è stata messa in risalto.
Vivacità ed impulsività adolescenziale
Romeo, 16 anni, e Giulietta, 14 non ancora compiuti, vivono la loro prima esperienza amorosa in un’alternanza di gioie e malinconie: Giulietta vuol vivere e gioire del suo desiderio d’amore alimentato dalla curiosità, dall’esplorazione e dalla sperimentazione tipiche dell’età; Romeo, che non sa nulla della vita, si impegna a comprendere se stesso e un mondo ancora sconosciuto e incerto, tentando di approdare ad una specifica identità. Sulla scena tutto era vivacità e gaiezza, e il pubblico veniva coinvolto in questo tourbillon d’energia: gli attori salivano sul palco dopo aver attraversato la sala, lasciavano la scena camminando a fianco delle poltrone, e ciò permetteva all’impianto scenico di conservare il suo ritmo propulsivo.
Anche la festa in maschera, in occasione della quale i due giovani protagonisti si incontrano e si innamorano, si svolgeva in allegria: sulle note di Video Killed The Radio Star, brano dei The Buggles, Mercuzio e i suoi amici si esibivano in un rap leggero e un flow accattivante, mentre Giulietta, con la chitarra imbracciata, suonava e intonava canzoni rock.
Tutto nell’arco di pochi minuti, perché all’improvviso la scena e la musica cambiano: attraverso un gioco di specchi e porte girevoli ecco che, rievocando musiche e ambientazioni tipiche del ‘500, si rigenera il mito di un’epoca lontana, e il pubblico si vede riflesso nella narrazione di una vicenda che abbraccia due contrastanti realtà, due diversi secoli, due mondi opposti.
Dualismo tragicomico
Con il corredo di una scenografia dallo stile sobrio ed essenziale -poche assi di legno e una balconata- battute e monologhi di questo grande classico, entrati oramai nella memoria di tutti, vengono qui riadattati in chiave talvolta farsesca, a creare un mix di classicismo e contemporaneità. Ben evidenziato l’archetipo dell’amore perfetto ma impossibile, che viene qui riproposto in un gioco di alternanza tra elementi opposti: l’amore passionale che avvolge i due giovani e l’odio irriducibile tra le famiglie rivali; la luce del giorno sotto la quale Romeo e Giulietta avrebbero voluto amarsi e l’ombra della notte in cui debbono rifugiarsi; la vita spensierata e felice cui ambiscono e la morte che sigilla il loro dramma.
In una fluttuazione di alti e bassi vengono esplorate anche le diverse dimensioni dell’amore. Oltre a quello romantico, intenso e passionale dei protagonisti, si indagano altre forme di amore: per Paride, per esempio, l’amore è collegato all’idea di decoro; per la balia di Giulietta, sboccata e chiassosa, l’amore è soprattutto fisico e sensuale; per padre Capuleti è l’equivalente di un accordo di convenienza tra due famiglie.
Ma al di là delle innovazioni tecniche, linguistiche e scenografiche, ciò che -nell’adattamento di Proietti- ha reso l’eterna favola dei due innamorati così incisiva e amata dal pubblico è stata la forza espressiva della loro rappresentazione. Al centro di sentimenti forti ed estremi in una Verona prigioniera del conflitto tra le loro famiglie, i due rampolli, che non sono padroni dei loro cuori e non possono ribellarsi al volere dei padri che decidono del loro futuro, si mostrano coraggiosi e tenaci nel tentativo di mantenere vivo il loro amore, puro e incondizionato: pur adeguandosi all’ostilità paterna e subendone l’influenza e gli ordini, neanche l’odio tra le due casate riuscì a placare la passione profonda e ardente che legava le anime di Romeo e Giulietta.
I giovani e la perdita del futuro
L’estenuante e divisiva guerra civile tra Capuleti e Montecchi, solitamente relegata sullo sfondo per dar risalto all’ecatombe della vicenda amorosa, viene qui messa in evidenza a sottolineare numerosi punti di contatto con il tempo presente e con l’attuale difficoltà nell’incontro con il diverso.
La storia di Romeo e Giulietta non si limita a raccontare un sogno d’amore sfociato in tragedia, ma costituisce lo spunto per una lucida e amara riflessione socio-politica: al pari delle due famiglie in conflitto che, non riservando ai loro figli la speranza di amarsi e realizzarsi come esseri umani, anche nella società contemporanea i nostri giovani, formati in un clima di intolleranza, di odio e di violenza, non nutrono alcuna speranza per il futuro. Romeo e Giulietta, ammaestrati al risentimento, all’insulto e all’ostilità talvolta mortale, si suicidano lasciando la città senza futuro; allo stesso modo i nostri giovani, insicuri, indifesi e vulnerabili di fronte alle incognite della vita, non nutrono alcuna speranza per il futuro: senza aspirazioni e ripiegati su se stessi, non sognano più un domani. Per loro la vita è scandita da un orologio senza tempo e segnata da un orizzonte di incertezza e assenza di progettualità. Da qui, un diffuso senso di malessere, una profonda malinconia e una soporosa rassegnazione che li spinge verso comportamenti estremi caratterizzati da idee di volontaria autosoppressione.
Ma cosa succederebbe se una comunità non investisse più sul proprio futuro e se i suoi figli non trovassero altra soluzione ai loro problemi che il suicidio? E’ una spirale che merita di essere infranta, e il dramma di Romeo e Giulietta deve servire da monito.