Parità di genere nelle politiche pubbliche
Lo squilibrio relazionale tra i generi e il desiderio di dominio e possesso da parte del genere maschile sul femminile affonda le sue radici nella notte dei tempi. Da sempre le differenze tra i sessi hanno rappresentato motivo di diseguaglianza e discriminazione a svantaggio del genere femminile: la violenza fondata sull’appartenenza sessuale, che per le donne comporta a tutt’oggi sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica, oltre a forme di coercizione e privazione della libertà personale, mette in luce il rapporto atavicamente diseguale tra uomini e donne.
Identità di genere e differenze di sesso
Quando si parla di disparità di genere ci si riferisce a percezioni e a rappresentazioni del femminile che non esistono ‘per natura’ bensì ‘per cultura’. Non è la diversità biologica tra uomo e donna ad essere oggetto di controversie: le differenze che intercorrono tra un genere e l’altro sono così profondamente consolidate nel tessuto socio-culturale da essere ritenute appropriate per uomini e donne. Ne discende che il concetto di genere si configura come una categoria interpretativa della realtà sociale, frutto di sovrastrutture culturali. Pertanto, distinguere i concetti di sesso e genere non significa contrapporli l’uno all’altro. I due concetti non sono antitetici, ma strettamente correlati e interdipendenti: mentre il termine ‘sesso’ è strettamente legato a determinazioni biologiche, quello di ‘genere’ afferisce alla sua dimensione sociale. Insita in un contesto di credenze e costruzioni storico-culturali conformi ai ruoli sociali solitamente svolti dai due sessi, la radicata prescrittività del concetto di genere influenza così tanto la natura umana da contribuire al pesistere di una struttura sociale fondata su diseguaglianza e logiche di potere.
Tutela anti discriminatoria nel mondo
La subalternità della donna che si esplica, sia tra le mura domestiche che in relazione alla posizione occupata nel mercato del lavoro, c’è sempre stata. Ma è solo nel corso degli ultimi 50 anni che da fenomeno pressochè sottovalutato, ha iniziato ad emergere in tutta la sua complessità. Non perchè prima non esistesse, ma perchè si era a tal punto radicalizzata nella tradizione socio-culturale da risultare quasi invisibile, oltre al fatto che molto spesso tali soprusi venivano tenuti nascosti o accettati tacitamente. Questo tipo di violazione della dignità umana ha suscitato un forte interesse da parte degli organismi internazionali. Tant’è che i governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite hanno sottoscritto nel 2015 l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, un programma d’azione articolato in 17 Obiettivi, il cui proponimento è quello di eliminare entro il 2030 la crisi climatica, la povertà e la diseguaglianza sociale, in modo da poter approdare alla costruzione di società pacifiche in cui si nutra rispetto per i diritti delle persone, del Pianeta e del benessere collettivo.
I temi dell’uguaglianza di genere e dell’emancipazione femminile vengono trattati nel 5° dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals, SDGs) che sono andati a completare i precedenti Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals, MDGs) che regolarono l’azione internazionale dal 2000 al 2015, senza purtroppo riuscire a raggiungere i traguardi previsti, in particolare l’eliminazione della povertà e la lotta contro il cambiamento climatico, considerate allora le più grandi sfide per l’umanità.
Nessuno sia lasciato indietro
La nuova Agenda Globale ha un carattere decisamente più innovativo rispetto agli MDGs, dato che contempla la sostenibilità mediante una visione olistica del fenomeno. Lo sviluppo sostenibile, infatti, non afferisce unicamente alla questione ambientale, ma riguarda anche la dimensione sociale, culturale ed economica della vita di una comunità. Persone, Pianeta e prosperità sono obiettivi globali, indivisibili e interconnessi, che inseguono un progresso caratterizzato da giustizia, eguaglianza, parità di genere, e si fondano in una coesione che amalgama, ad un tempo, l’aspetto territoriale, economico e sociale della sostenibilità. Quest’azione comune dal carattere innovativo sottende ad una concezione del tutto nuova del progresso fondata sul principio “leave no one behind”: le Nazioni Unite, riconoscendo come valore inalienabile la dignità di ogni essere umano, si impegnano a raggiungere gli esclusi, le minoranze etniche, i migranti, i rifugiati, gli individui più vulnerabili e svantaggiati al fine di promuovere pace e giustizia sociale, colmare le disuguaglianze di genere, rafforzare la figura femminile, assicurare il benessere ambientale e la crescita economica, in modo da garantire a chiunque emancipazione e protezione sociale, ovvero una vita degna di essere vissuta. E’ questa la promessa centrale e innovativa dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile: giustizia sociale, nuova economia e cura della casa comune.
Pari opportunità in Europa
Anche a livello europeo, la parità di genere rappresenta un principio fondamentale dell’Unione, ma sembra non costituire ancora una realtà. Dall’analisi comparativa con il resto dell’Europa, risulta che l’Italia negli ultimi anni ha progredito in maniera significativa, per quanto il divario rispetto alla piena parità, da attribuire ai Paesi europei più meritevoli (Svezia, Danimarca e Francia), sia ancora significativo.
Ciononostante, tra tutti i Paesi dell’Unione Europea, l’Italia risulta l’unica nazione ad aver compiuto un progresso così importante da farle registrare un incremento di oltre 10 punti in 7 anni. Infatti, l’Italia risulta oggi al 14° posto in Europa per parità di genere, con un punteggio del Gender Equality Index inferiore alla media europea. La Convenzione del Consiglio d’Europa del 2011, meglio nota come la Convenzione di Istanbul di cui l’Italia ha autorizzato la ratifica approvando la legge 77/2013, prevede che i Paesi firmatari si impegnino ad “includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado dei materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le donne basata sul genere e il diritto all’integrità personale”[art. 14,c.1].
Identità di genere e stereotipi
Le preoccupazioni per le quali l’Italia e gli Stati membri dell’Unione Europea oggi si battono riguardano non solo la subordinazione delle donne rispetto agli uomini, la violenza contro le donne, le molestie domestiche e sui luoghi di lavoro, ma anche le disuguaglianze economiche; in particolare, le disparità salariali tra i sessi, la sotto-rappresentazione delle donne nei processi decisionali, in politica e nell’economia. Senza trascurare lo stupro, il matrimonio forzato e le mutilazioni genitali femminili -forse la più grave violazione dei diritti umani delle donne- nonchè il fenomeno che oggi risulta tragicamente in rapida crescita, quello della violenza perpetrata sulle femmine da parte di molti adolescenti, vittime talvolta inconsapevoli di comportamenti discriminanti dettati da pregiudizi e stereotipi che sono molto resistenti alla confutazione e allo sradicamento. Gli stereotipi di genere prescrivono come donne e uomini debbano agire, giustificando così le credenze e i comportamenti illeciti degli attori sociali che percepiscono come naturali ed eticamente corretti i ruoli maschili e femminili, e determinano il perdurare di una gerarchia di genere fondata su diseguaglianza e asimmetria di potere. Cercare la realizzazione dell’eguaglianza nell’unione significa battersi per un impegno comune in cui tutti quanti, donne e uomini, ragazze e ragazzi, ciascuno con le proprie diverse specificità, risultino uguali, figli della medesima famiglia umana.