Antifascismo: dovere civico e morale
Il 25 aprile di ogni anno si celebra in Italia la Festa della Liberazione.
Liberazione dell’Italia dalla brutale occupazione nazista, da una guerra disumana e una dittatura spietata. Liberazione, dunque, come festa della pace e della libertà riconquistata, quella pace e quella libertà che ritroviamo scolpite nella Costituzione repubblicana, nata dal sacrificio dei partigiani e da una scelta di campo contro un regime guerrafondaio, autoritario e razzista.
E fu proprio in nome di quell’Italia, intenzionata a risollevarsi recuperando prestigio e onore, che nell’agosto 1946 l’allora Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi poté presentarsi a testa alta alla Conferenza di pace di Parigi, annunciando che con il decreto luogotenenziale n.185 dell’aprile 1946 Re Umberto II aveva sancito che “A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile 1946 è dichiarato festa nazionale”.
Pur avendo adottato una data convenzionale -il Secondo conflitto mondiale si concluse il 29 aprile 1945- da allora il 25 aprile è sempre stato onorato come data fondativa della Repubblica e del nostro essere italiani. E ogni anno la ricorrenza è stata celebrata con manifestazioni pubbliche e con il consueto solenne omaggio reso dal Presidente della Repubblica e dalle alte cariche dello Stato al Milite Ignoto presso l’Altare della Patria a Roma in ricordo dei caduti e dei dispersi italiani durante i 20 mesi di resistenza all’offensiva nazifascista.
I giovani e la liberazione
Purtroppo, questa sostanziale esperienza storica che sta a fondamento del nostro assetto socio-politico-culturale ed istituzionale viene vissuta dai giovani come un evento lontano nel tempo e storicamente concluso. Finora il nostro Paese si è orientato a costruire, soprattutto nei giovani, una memoria storica comune utilizzando strumenti quali manuali scolastici, festività pubbliche, rituali politici. Senonchè, anche dinanzi al rafforzamento di queste iniziative, la memoria ufficiale si rivela sempre meno capace di plasmare il loro immaginario.
Oggi gran parte dei giovani non possiede una profonda coscienza di ciò ha rappresentato quel momento storico nella storia del nostro Paese. Tutti hanno ben chiaro che si tratta di un giorno di festa grazie al quale non si va a scuola o non si lavora: alcuni fanno della festività un’occasione per ritrovarsi con gli amici e fare grigliate all’aperto; altri si uniscono a gruppi di persone che, sventolando in piazza bandiere rosse, inneggiano ai valori universali di libertà e dignità; altri ancora intonano “Bella ciao” senza, magari, soffermarsi sul testo del popolare canto partigiano.
Ignoranza? Disinteresse? Forse. Ma nello scenario socio-politico attuale che, affidandoci una democrazia quasi totalmente priva di forti legami di appartenenza, ci consegna una realtà sociale ripiegata sui bisogni individuali e sfiduciata nel valore del bene pubblico, la percezione del passato non può che diventare sempre più labile, soprattutto per dei giovani che si sono abituati a vivere diffuse forme di violenza e intolleranza. Purtroppo, gli auspici di De Gasperi -intendeva dar vita ad una nuova religione civile in grado di ricostituire le condizioni per pacificare il Paese e instaurare un nuovo ordine politico e sociale- non sono stati ancora soddisfatti, perchè a distanza di quasi un ottantennio dalla fine della Seconda guerra mondiale, ogni anno all’approssimarsi della data fatidica, puntualmente si riaprono vecchie lacerazioni che riaccendono discussioni, polemiche e contestazioni, divenute con il tempo sempre più radicali: la comunione di idee e sentimenti che la nuova stagione repubblicana ambiva a ricostituire, sembra rimanere ancora una mèta lontana, forse ancora più lontana oggi di quanto non fosse negli scorsi decenni.
Non basta sventolare una bandiera o intonare una canzone partigiana per dimostrare una viva e sincera consonanza agli ideali della Resistenza e professarsi sostenitori dei valori repubblicani. Resistenza è esprimere tutti i giorni un saldo diniego all’odio, alla violenza, alla guerra, alla violazione e negazione dei diritti umani e civili; Resistenza è incitamento solenne ai valori dell’antifascismo e della democrazia, è impegno costante per il mantenimento di una pace durevole.
A scuola di libertà e democrazia
La scuola, prima comunità sociale e sede di formazione ai valori democratici, ha il compito di distendere le pieghe del tempo per agevolare la descrizione delle vicende di quegli anni, soprattutto in un momento storico disorientante come quello attuale, attraversato da nuove e gravi minacce: oltre agli ipnotizzanti conflitti di prossimità, forze autocratiche e gelidi venti xenofobi si abbattono sulla nostra Repubblica attaccando sempre più frequentamente i principi essenziali dell’universalità dei diritti.
E’ vero, però, che insegnare a scuola la Resistenza, come come valore storico e civico, come riscatto di un popolo vessato da anni di dittatura, è difficile. I ragazzi, che non hanno vissuto quegli avvenimenti, li percepiscono come echi di un’esperienza storica lontana nel tempo, e i libri di testo, spesso troppo semplicistici e retoricamente patriottici, non risultano efficaci. Comprendere, per esempio, le condizioni di vita delle brigate partigiane sulle montagne-alloggio o il richiamo alla propaganda partigiana è fuori della loro portata per l’enorme distanza culturale che li separa dai giovani di allora. Sarebbe forse più utile instaurare un giusto clima di ascolto nella classe, catturare l’attenzione degli alunni e guidarli emozionalmente nella narrazione delle storie di chi ha vissuto quel periodo, storie individuali e private di uomini e donne comuni, come i loro genitori o i loro fratelli e sorelle. Perchè sono gli aspetti della quotidianità di gente comune ad essere rilevanti ai fini della comprensione storica di un’epoca segnata dal rifiuto delle libertà individuali per mano di un regime totalitario che sollecitava impulsi antiumani.
Per recuperare la memoria di quell’esperienza storica così carica di valori morali e civili, basterebbe anche uscire dagli schemi del passato e muoversi tra i segni della storia che incontriamo ovunque nell’indifferenza quotidiana: nelle intestazioni di strade, piazze, edifici, nelle moltissime lapidi e targhe che si trovano in vari punti di ogni città a ricordare luoghi dove si sono svolte rappresaglie, esecuzioni, torture e azioni di resistenza. Un’occasione, questa, non solo per conferire significato a insegne commemorative in cui quotidianamente ci imbattiamo, ma anche per riscoprire una realtà spesso poco conosciuta, composta da eventi, persone e luoghi che portano con sé un’eredità storica e morale di alto valore educativo.
Ecco perchè è doveroso che, con cognizione e responsabilità, anche i giovani imparino ad onorare il significato profondo del 25 aprile nelle forme che ritengono più appropriate: ascoltando, leggendo, recuperando testimonianze, elaborando riflessioni. Purchè riescano a liberare quell’energia che li anima, in modo da mantenerne desta la memoria e trasmettere il valore di quell’esortazione nei tempi a venire, senza cinici preconcetti ideologici e con assoluto impegno civile.
“Senza memoria non c’è futuro”. Così si è espresso quest’anno il Presidente Mattarella, parafrasando le parole di Primo Levi (“Non c’è futuro senza memoria”), in occasione delle celebrazioni del 25 Aprile a Civitella in Val di Chiana, sede di una feroce strage nazifascista: per ricordare uno dei momenti più drammatici nella storia del nostro Paese, la condivisione della memoria aiuta a ricomporre le fratture del passato consentendo di guardare con fiducia alle sfide del presente e del futuro.
Libertà e liberazione
Se è difficile insegnare la Resistenza a dei ragazzi, ancora più arduo è far loro acquisire il concetto di Liberazione, liberazione da condizioni di asservimento da cui ci si vuole svincolare. Nel 1945 il gravoso onere dal quale era necessario affrancarsi era rappresentato dalla repressione nazifascista: bisognava liberarsi dalle condizioni di sottomissione imposte dal nemico -l’occupante nazista- per poter rifondare il Paese su basi democratiche. Ma i giovani di oggi sono nati nella libertà, e la libertà viene da essi concepita come un bene originario, naturale, scontato. Per i giovani libertà e vita sono la stessa cosa ed è inimmaginabile per loro una realtà in cui debbano conquistarsi il diritto di essere liberi mediante una liberazione.
Per un mondo migliore
Per costruire un mondo migliore, perchè il futuro possa essere edificato non solo dai potenti ma dal contributo di ciascuno di noi, dovremmo dare voce ai desideri sani dei giovani di tutto il mondo che sognano sviluppo e pace. E i giovani, che sono i veri protagonisti del futuro, dovrebbero avere il coraggio di contribuire alla creazione di una coscienza di pace individuando nelle azioni non violente l’unica modalità per non disperare che la pace possa ancora vincere sull’odio e su logiche di potere. Contrastando nazionalismi e guerre come negazione della vita e censura dell’avvenire, occorre salvaguardare le condizioni di pace come il rispetto della persona, del suo corpo, della sua identità, della sua dignità fisica e morale.
Educare alla pace è educare alla responsabilità, alla cittadinanza, alla consapevolezza dei propri diritti e doveri, e imparare a coniugare questi impegni nella concretezza dell’agire quotidiano. Perchè la pace, come orizzonte da raggiungere, è un processo in divenire che ogni individuo deve dipanare quotidianamente per poter adempiere al proprio compito precipuo, che è quello di partecipare alla storia imprimendovi un segno. Che può essere il suo impegno nell’attività civica, nella costruzione di una famiglia, nella realizzazione del proprio pensiero in un lavoro.