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Il mercato della fecondazione

Che la procreazione rappresenti una delle componenti essenziali della vita umana, è oramai universalmente riconosciuto: la riproduzione, ritenuta decisiva per un armonico sviluppo della persona, soddisfa l’esigenza, insita in ogni essere umano, di trasmettere la vita. La generazione, infatti, è un diritto umano fondamentale, inviolabile, costituzionalmente garantito (artt.2, 29, 30 e 31 Cost.) che lo Stato è chiamato a tutelare con azioni informativo-educative e specifiche provvidenze (sostegno economico, assistenza sociale e sanitaria).
Negli ultimi tempi quello della procreazione è diventato uno dei temi più attuali e dibattuti della bioetica. Dal momento in cui la scienza e la tecnologia sono intervenute nella medicina riproduttiva con una gamma di proposte di fecondazione assistita, a sostegno di coloro nei quali la funzione procreativa non poteva manifestarsi naturalmente, ecco che le soluzioni alternative avanzate hanno sollevato problemi di natura etica e deontologica oltrechè giuridica.
La surrogazione di maternità o gestazione d’appoggio o gestazione per altri (spesso abbreviata con l’acronimo GPA) è una forma di procreazione assistita regolata da un accordo tra una coppia committente e una donna (definita madre surrogata, gestante per altri o portatrice gestazionale) che, in maniera libera, autonoma e volontaria, a titolo puramente gratuito oppure dietro un corrispettivo monetario o altra utilità economica, si presta ad avere una gravidanza e a partorire un figlio non per sé ma per conto di terzi (il genitore o i genitori del nascituro, che per questo vengono qualificati come genitori designati o intenzionali), rinunciando preventivamente a reclamare qualsiasi diritto sul figlio ceduto dopo il parto.

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Si tratta di una particolare forma di fecondazione assistita, nella quale le funzioni procreative femminili sono demandate dall’aspirante madre ad un’altra donna, che prende il nome di madre surrogata, proprio perchè sostituisce o surroga la donna non biologicamente idonea della coppia committente.
Ecco perchè il concetto di maternità, da sempre legato ad uno dei principi classici del diritto “mater semper certa est”, sembra non avere più il carattere indissolubile che poteva avere in passato. Perchè oggi il ruolo della maternità può ripartirsi tra più soggetti femminili: c’è l’aspirante madre o madre intenzionale desiderosa di avere un figlio, la madre gestante o madre uterina che reca in grembo il figlio per il tempo della gestazione e poi lo partorisce, ma può esserci anche la madre genetica che offre utero ed embrioni, che vengono fecondati dal padre committente e impiantati nell’utero della madre surrogata, che svolge al contempo un triplice ruolo, quello di madre genetica, di madre biologica e di gestante.

La pratica surrogatoria

Le persone che si affidano a questa pratica presentano solitamente condizioni patologiche di natura organica (sterilità, infertilità) non altrimenti rimovibili o malattie trasmissibili: l’esempio più ordinario di surrogazione contempla una coppia di coniugi priva di figli per sterilità della donna. Ma può presentarsi anche il caso di coppie omosessuali di sesso femminile e maschile o di donne single desiderose di diventare madre senza avere alcun coinvolgimento con un uomo. A volte il ricorso alla maternità surrogata può essere determinato dal cambiamento della compagine familiare rispetto al modello tradizionale di famiglia (coppie omosessuali o famiglie monoparentali).

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Altre volte la richiesta di maternità per sostituzione può avvenire anche per ragioni di mera convenienza: la donna in carriera che non vuole sottrarre tempo al lavoro, quella che non accetta di cambiare il proprio stile di vita o, ancora, la donna attenta alla linea del proprio corpo.

L’Italia dice no

La posizione del Governo italiano è sempre stata quella di assoluta condanna verso ogni forma di surrogazione di maternità, tranne i casi contemplati dalla L.40/2004 concernente “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita” dove il confine tra sterilità patologica e infertilità fisiologica (dovuta alla non complementarietà fisiologica dei membri, tipica della coppia omosessuale) è assolutamente netto: trattandosi di condizioni ontologicamente distinte, viene autorizzato il ricorso alla PMA solo per le coppie composte da persone di “sesso diverso” (art.5), coniugate o conviventi, in età fertile, affette da patologie riproduttive. In tutti gli altri casi, agli aspiranti genitori italiani non restava che farsi riconoscere la filiazione determinata all’estero, ossia in quei Paesi in cui la pratica surrogatoria è perfettamente legale, normata e sicura. Quest’escamotage, però, ha cessato oggi di poter essere utilizzato, poichè il 16 ottobre scorso il Decreto Legge n.824 del 19 febbraio 2024, recante modifiche all’art.12 della L.40/2004, ha ottenuto l’approvazione definitiva del Senato rendendo universale il reato di maternità surrogata anche se praticata all’estero.

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Al termine di un lungo dibattito parlamentare, con 84 voti favorevoli, 58 contrari e nessun astenuto la perseguibilità del reato di GPA è stata estesa anche alle condotte intraprese all’estero da cittadini italiani, creando così un vero deterrente nei confronti di una pratica che nella nostra nazione non ha mai trovato terreno fertile. Le modifiche intervenute a seguito dell’approvazione del Decreto Legge n.824 hanno aggiunto al c.6, art 12 della L.40 la seguente dicitura: “Se i fatti di cui al periodo precedente, con riferimento alla surrogazione di maternità, sono commessi all’estero, il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana”. La pratica della surrogazione di maternità è, quindi, universalmente perseguibile in qualunque Paese venga compiuta, compresi quegli Stati stranieri dove tale condotta è legalmente riconosciuta e regolamentata da apposita e puntuale normativa. Pertanto quei cittadini italiani che rientrano in Italia dopo averne fatto ricorso, rischiano pene fino a 2 anni reclusione e multe fino a 1 milione di euro.

Sconfitta del commercio estero

Scopo del provvedimento era di bloccare il cosiddetto turismo riproduttivo, ossia quel fenomeno che, sfruttando le differenze tra i regimi normativi ed economici dei numerosi Paesi esteri in cui tale procedura è consentita, sollecitava i genitori intenzionali a scegliere il Paese nel quale avvalersi delle tecniche fecondative. Finora nell’ordinamento italiano non esisteva alcuna legge che disponesse in merito alla liceità o meno del riconoscimento dei provvedimenti stranieri, ed era proprio questa vacatio legis che faceva sorgere non pochi problemi agli aspiranti genitori italiani. Perchè al momento del loro rientro in Italia dopo la filiazione determinata all’estero, necessitavano di una risoluzione giuridica per ottenerne il riconoscimento: in Italia il frutto di una maternità surrogata all’estero, anche se compiuta in conformità alla lex loci, non poteva essere riconosciuto come figlio della coppia committente, ma soltanto di chi aveva contribuito con il proprio apporto biologico. In altri termini, la madre d’intenzione non poteva essere trascritta negli atti di nascita di un bambino nato a seguito di maternità surrogata, perchè secondo la legge italiana lo status di madre appartiene soltanto a colei che partorisce il bambino. Per ottenere lo status filiationis si doveva, pertanto, ricorrere ad un successivo provvedimento del Tribunale o alla pratica dell’adozione ex art.44, lett.b) della L.184/1983, che consente al genitore non geneticamente imparentato con il bambino, di adottare il figlio biologico del proprio partner “quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo”.

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Ciò al fine di tutelare il rapporto che si creava nel momento in cui il minore veniva inserito in un nucleo familiare con cui in precedenza aveva già sviluppato legami affettivi. Perchè anche il bambino nato a seguito della GPA ha diritto al riconoscimento, anche giuridico, del legame sorto in forza del rapporto affettivo instaurato e vissuto con il partner del genitore genetico che ha condiviso il disegno genitoriale e concorso nel prendersi cura del bambino sin dalla nascita.

Anche le femministe contro la legge bioetica

Per ciò che riguarda l’abolizione universale della maternità surrogata merita, forse, ricordare che la battaglia è stata intrapresa in primis proprio dalla frangia femminista della sinistra francese, che nel 2015 emanò a Parigi la “Carta per l’abolizione universale della maternità surrogata”, ritenuta una pratica disumanizzante e irrispettosa della dignità e dei diritti di donne e neonati. E’ stata poi la volta della filosofa francese Sylviane Agacinski, una femminista atipica, che, muovendo dalla constatazione che il corpo umano è diventato carne “utilizzabile per la ricerca, per i trattamenti medici o la procreazione assistita”[1] parafrasò il titolo di un celebre saggio di Walter Benjamin “l’opera d’arte  nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” (1936) sostenendo che “l’uomo è entrato nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”[2]. Mentre, dando voce all’associazione CorP(Collettivo per il Corpo della Persona), sottolineò come la “produzione biotecnologica di bambini”[3] fosse una pratica assimilabile alla schiavitù, una “schiavitù etica che sfrutta la donna in nome dei diritti” [4].

Note

[1] Intervista a Sylviane Agacinski, L’Espresso, 10 agosto 2020;
[2] S.Agacinski, L’uomo disincarnato. Dal corpo carnale al corpo fabbricato, 2020;
[3]Dibattito al Parlamento francese, febbraio 2016;
[4] Intervista a Sylviane Agacinski, cit.

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Angela Gadducci
Author: Angela Gadducci

Angela Gadducci è una professoressa con incarico articoli per la sezione etica e società ma anche storia e cultura. Già Dirigente scolastica e Coordinatrice di Attività di Ricerca didattica presso le Università di Pisa e Firenze, è autrice di articoli e libri di politica scolastica. Significative le sue collaborazioni con le riviste Scuola italiana Moderna, Scuola 7, Continuità e Scuola, Rassegna dell’Istruzione, Opinioni Nuove, Il Mondo SMCE.

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