Credo fermamente che i medici italiani siano realmente fra i migliori al mondo e lo starebbero dimostrando ogni giorno. Anche in questo senso la pandemia da Coronavirus ci sta aprendo gli occhi su quanta umanità esista ancora in Italia. Forse ci eravamo dimenticati che una persona non vive di “solo pane” ma anche di altre cose forse più importanti come l’affetto, il valore umano, i piccoli ma grandi gesti che la quotidianità, la fretta, la vita che corre alla velocità della luce, ci ha talvolta fatto dimenticare. Qualcuno però questo non l’ha mai scordato soprattutto chi in questo momento sul fronte medico dei vari ospedali rischia la propria vita per cercare di permettere la vita.
Sono i tanti medici e paramedici che talvolta mal equipaggiati combattono con tutte le proprie forze pur di strappare al virus il più grande numero di vite umane. Sono quei medici e quei paramedici richiamati al fronte pur essendo anziani, in pensione, ed a completa conoscenza di quale sia il rischio che decidono di affrontare. Sono quei medici che ritornano in trincea per amore verso il prossimo, verso la nazione, e per tenere fede ad un antico giuramento professionale, un giuramento nel quale hanno ampiamente dimostrato di credervi fino in fondo. Questi sono i medici italiani, quei professionisti che prima dell’emergenza Covid hanno anche passato brutti momenti e certe volte hanno dovuto sopportare gli improperi di qualche paziente scorbutico in pronto soccorso o addirittura se ben ricordo sarebbero stati anche malmenati tanto da incentivare alcuni ospedali pubblici ad esporre cartelloni pregando di non prendersela con i medici. Ora vi esporremo una notizia ANSA piuttosto commovente e carica di umanità:
ANSA: “Il papà l’ho abbracciato io al posto suo prima che lo portassero dal pronto soccorso alle cure palliative. Non potevo mandarlo su così. A lui ho detto che lo ricoveravamo, volevo non si accorgesse di niente. Gli abbiamo dato tutto l’ossigeno del mondo fino alla fine”.
Avrete certamente capito che queste parole sono quelle di un medico, un medico dell’ospedale di Crema pronunciate alla figlia di un paziente che in poco più di una settimana si sarebbe vista portare via dal Covid il padre anziano mentre la madre in questo caso starebbe lottando per guarire. Una lettera davvero toccante nella quale oltre alla guerra che si combatte ogni giorno, ci si prende cura anche di quello che forse sarebbe solamente una cosa facoltativa ovvero i sentimenti dei malati ma anche dei famigliari sani. Questa è una delle cose più grandi che un medico possa fare: il vero
valore aggiunto della professione medica. I medici capiscono la solitudine dei pazienti affetti dalla malattia, capiscono il loro dover affrontare la difficoltà soli, senza nessuno al proprio fianco, attaccati per forza di cose ad un respiratore con il timore di non farcela e soprattutto capiscono anche chi resta nel dolore per giorni e giorni in attesa di novità positive sul proprio famigliare malato. In questo caso il destinatario della lettera è la figlia di un farmacista di Cremona, Ottavio Pettenati, scomparso il 22 marzo scorso. La Figlia Francesca nonostante il dramma multiplo che si sarebbe abbattuto sulla propria famiglia avrebbe consegnato all’ ANSA queste poche righe in segno di solidarietà verso il medico del Pronto Soccorso che ha avuto il papà in cura e verso quei “soldati” in camice azzurro che combattono giorno dopo giorno toccando con mano una grandissima sofferenza.
(ANSA): “Non ci si può dimenticare di questi medici e infermieri”, dice aggiungendo come non abbiano lesinato le loro attenzioni per fare in modo “che papà non si sentisse solo – aggiunge – e non avesse paura della morte. Sono riusciti a fare in modo, tenendo il cellulare vicino al suo orecchio, che io e mio figlio, il suo unico nipote, lo potessimo salutare per l’ultima volta”. E la riprova di tutto ciò, è “del grande regalo che mi ha fatto sostituendosi a me”, sono le parole del giovane dottore del pronto soccorso di Crema, che ha chiesto l’anonimato e che tuttora chiama Francesca per avere notizie della madre. “Volevo dirle che abbiamo fatto tutto il possibile. Ieri quando le ho comunicato per telefono che lo stavamo trasferendo all’ Hospice mi sono sentito morire dentro un po’ anche io. Mi ero affezionato. Era un brav’uomo. Sempre gentile. Mi salgono ancora le lacrime agli occhi – prosegue – pensando a come teneva stretto il cellulare grazie al quale si sentiva vicino a voi tutti. Ho provato a dargli tutte le chances di questo mondo. Mi spiace terribilmente di non esser riuscito a salvarlo. Voglio dirle che non ha sofferto per niente. Me ne sono assicurato personalmente”. Credo che non sia necessaria una conclusione o una spiegazione a questo articolo, penso che in questo caso si tratti di uno scritto in grado di parlare da solo.