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DANTE E L’INFLUENZA ARABO-ISLAMICA

Anche quest’anno le polemiche su Dante Alighieri, come autore improponibile agli studenti di fede islamica, non hanno tardato ad infiammare l’opinione pubblica e la politica. Il motivo risiede nel fatto che il sommo poeta ha collocato Maometto nell’Inferno, tra i seminatori di discordie che raffigura orrendamente mutilati: le lingue di fuoco che divampano nella 9^ delle cosidette Malebolge dell’8° cerchio, la disperazione e il disfacimento di corpi deturpati e ammucchiati in cataste caratterizzano lo sfondo. La pena consiste nell’essere fatti a pezzi da un diavolo armato di spada che dilania i dannati costretti a ripresentarsi, ripetutamente ed eternamente, al suo cospetto ogni qualvolta abbiano compiuto il giro nella bolgia: infliggere ai loro corpi gli stessi tormenti di cui erano stati artefici in vita era per Dante il contrappasso più adeguato per coloro che in vita avevano operato lacerazioni politiche, religiose e familiari. Anche il Profeta, al quale è stato riservato il medesimo atroce supplizio, è straziato da un demonio che ne dilania crudelmente il corpo con una spada: squarciato dal mento all’ano, presenta esposte le interiora e gli organi interni che gli penzolano tra le gambe.
E’ così che compare Maometto nel 28° canto dell’Inferno; accanto a lui il cugino e genero Alì, suo successore come Califfo, con il volto spaccato dal mento alla fronte.

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CONTROVERSIE IN UNA SCUOLA TREVIGIANA

La vicenda è esplosa a fine maggio, a pochi giorni dalle elezioni europee. Ad innescarla un’insegnante di scuola media dell’Istituto Felissent di Treviso che aveva chiesto preventivamente alle famiglie di due studenti musulmani, già esonerati dalle lezioni di religione cattolica, il permesso di poter intraprendere lo studio della celeberrima Commedia di Dante Alighieri. Di fronte al loro diniego, l’insegnante non ha fatto altro che tradurre la scelta delle famiglie ‘censurando’ Dante e sostituendolo con Boccaccio. All’episodio, che ha riacceso il dibattito sulla compatibilità tra l’insegnamento della Divina Commedia e la sensibilità religiosa dei musulmani, ha fatto seguito una pioggia di commenti da parte di quanti si opponevano al fatto che lo studio di Dante potesse ‘turbare’ qualcuno.
Il caso ha sollecitato anche l’intervento del Ministro Valditara che ha disposto un’ispezione per verificare come stavano i fatti. La conclusione è stata che la decisione, scaturita dallo scrupolo dell’insegnante, era frutto di un’estemporanea iniziativa e che l’esclusione dal programma scolastico di uno dei pilastri della nostra letteratura era del tutto inammissibile oltrechè ridicolo. Tale pronuncia trova fondamento non solo nell’indiscussa magnificenza dell’opera dantesca, ma anche nel fatto che la Divina Commedia non è un’opera a sfondo religioso. Si tratta non solo di un caposaldo della letteratura italiana, di un simbolo d’italianità, ma di un’opera universale, che appartiene a tutto il mondo e la sola ipotesi di esonerare degli studenti dal suo studio per motivi religiosi rappresenta un insulto alla nostra cultura, al valore superiore dell’opera e dell’arte in generale. Conoscere Dante non toglie nulla alla confessione religiosa di coloro che lo studiano; al contrario, aggiunge molto alla conoscenza della cultura italiana. E chi approda nel nostro Paese o vi nasce, è giusto che abbia il diritto -prima ancora che la responsabilità- di conoscere la nostra cultura e di comprenderne i valori: favorire l’integrazione, che si compie aggiungendo sempre qualcosa e mai sottraendo, significa anche far conoscere la cultura del Paese dove si vive e si studia.

TRACCE ANTI-ISLAMICHE IN OPERE D’ARTE…

La questione non è nuova: non è il primo caso in cui, anche a scuola, Dante entra in collisione con l’Islam. Nel 2002 venne sventato un attentato jihadista ai danni della Basilica di San Petronio a Bologna, in piazza Maggiore. Obiettivo sensibile: l’affresco del ‘400 realizzato da Giovanni da Modena raffigurante il corpo nudo del Profeta dell’Islam torturato da un demone infernale. Vennero fermati quattro cittadini tunisini sospettati di essere collegati con frange dell’estremismo islamico, ma all’arresto non fece seguito la temuta espulsione.

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Nel 2007 l’ex capogruppo DS nel consiglio comunale di Bologna e successivamente vicesindaco, Claudio Merighi, definì quell’immagine come offensiva per la comunità musulmana. Parole simili vennero proferite anche dal Pro Rettore alle Relazioni Internazionali dell’ateneo bolognese, Roberto Grandi, il quale sentenziò che l’affresco doveva essere coperto. Senonchè arrivò la risposta contraria dell’autorità religiosa nella persona del Vescovo ausiliario di Bologna Monsignor Ernesto Vecchi membro della Commissione C.E.I. per il laicato, il quale non approvò l’iniziativa e rivolgendosi “ai fratelli musulmani e ai fratelli DS” dichiarò che “quell’affresco non offende[va] nessuno”, così come non risultava offensivo per i cattolici il dipinto di Giotto nella Cappella degli Scrovegni raffigurante frati e vescovi dannati per lussuria e simonia.

… E NEI VERSI DI DANTE?

Nel 2012 il Comitato Gherush92 -un’organizzazione di ricercatori con status di consulente speciale dell’ONU- promuoveva la rimozione della Divina Commedia dai programmi scolastici perchè latrice di “razzismo istituzionale mascherato da arte”. Il motivo era la cospicua presenza nella Comedìa di contenuti antisemiti ed islamofobici, cosicchè studiandola, i giovani sarebbero stati costretti ad apprezzare un’opera che calunnia il popolo ebraico, sia nella forma che nel contenuto, nel lessico e nella sostanza, senza alcun filtro o considerazione critica rispetto all’antisemitismo. In particolare, per la descrizione di Maometto -spiegava la Presidente del Comitato, Valentina Sereni- vengono utilizzati termini volgari e immagini così raccapriccianti che nella traduzione in arabo della Commedia da parte del filologo Osman, dantista egiziano, erano stati omessi i versi considerati offensivi. Oltre a ciò, in linea con quella che era la visione medievale, il profeta era stato rappresentato come uno scismatico e l’Islam come una eresia. Dante, infatti, descrive il Profeta come un seminatore di discordie dando credito ad una leggenda, nata probabilmente in ambiente crociato e priva di fondamento storico, secondo cui Maometto sarebbe stato un prete cristiano che, frustrato per non essere riuscito a far carriera, avrebbe fondato una nuova religione per vendetta.
Anche all’estero si sono verificati episodi del genere. Mentre in alcuni Paesi islamici i versi su Maometto sono stati cancellati, in Olanda e in Belgio l’opera è stata ‘rivisitata’. Il caso, riportato dal quotidiano belga De Standaard, fa riferimento ad una traduzione in fiammingo della Divina Commedia nella quale il nome di Maometto viene rimosso per non urtare la sensibilità dei fedeli musulmani: nel capolavoro dantesco “Maometto subisce un destino crudo e umiliante, solo perché è il precursore dell’Islam” sottolinea l’editore Myrthe Spiteri, che ha eliminato qualunque richiamo al Profeta.
La verità è che Dante, nella sua immensa e complessa opera, non condanna la religione islamica ma solo alcuni suoi fedeli. Tant’è che nel 4° canto dell’Inferno, presso il “nobile castello” degli “spiriti magni” che abitano il Limbo vagando liberamente in un immenso prato verde, tra i grandi saggi dell’età pre-cristiana Dante colloca il Saladino, celebre sultano d’Egitto e di Siria che combatté contro i cristiani durante la seconda crociata, ma fu sempre visto come un esempio di magnanimità e di coraggio. E Dante lo rappresenta proprio come un signore musulmano giusto e valoroso. Oltre a lui, Dante riserva il Limbo ad altri due campioni della fede e della cultura islamica, come Avicenna e Averroè, medici e filosofi di cui Dante riconosce il valore di uomini giusti e sapienti, e il merito di aver diffuso in Europa il pensiero e le opere di Aristotele.

MUSULMANI, PRECURSORI DI DANTE

In Germania Dante è stato duramente attaccato dal quotidiano Frankfurter Rundschau in occasione della Giornata nazionale del Dante

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dì (25 marzo), istituita nel 2020 dal nostro Consiglio dei ministri per celebrare il Sommo Poeta. Ebbene, lo scrittore e commentatore Arno Widmann, in un articolo del Frankfurter Rundschau, arrivò a sferrare un incredibile e sconcertante attacco alla figura di Dante e all’Italia. Con l’affermazione che Dante sarebbe stato un plagiatore, lo scrittore tedesco avrebbe ripreso la tesi dell’abate e arabista spagnolo Miguel Asín y Palacios, il quale nell’opera L’escatologia musulmana nella Divina Commedia del 1919 illustrò come la Commedia dantesca si fondasse su un poema mistico arabo in cui si narrava l’esperienza dell’ascesa al Cielo. Il riferimento andava al Libro della Scala di Maometto, un testo islamico in cui si descrive il viaggio ultraterreno del profeta Maometto: un’opera escatologica di carattere popolare molto diffusa nell’Europa del ‘300, antecedente a Dante e con la quale il Sommo Poeta sarebbe effettivamente entrato in contatto. Widmann dipinse Dante come egocentrico e arrivista, razzista e poco inclusivo, e affermò che avrebbe poco a che fare con la nascita della lingua italiana: Dante si sarebbe costruito una lingua appositamente per la sua opera, e col suo viaggio cristiano nell’aldilà avrebbe tentato di “fare un colpaccio ai danni del poema arabo”.

FONTI ISLAMICHE NELLA DIVINA COMMEDIA

Che il Medioevo europeo abbia risentito dell’influenza arabo-islamica è oramai assodato, ma la presenza di una contaminazione islamica non rende meno grande il genio dantesco, anzi ne amplia gli orizzonti e rende la sua opera un esempio di interculturalità. Ed è proprio in un’epoca come la nostra, in cui gli insani risvolti del fondamentalismo ci spingono a sospettare dell’altro da noi, che questo valore dovrebbe essere riconosciuto e diffuso. Soprattutto in ambito scolastico.
Se è vero che la scuola è la sede deputata all’integrazione e alla costruzione di una cittadinanza consapevole, attiva e inclusiva, che senso ha per la cultura occidentale tradire la sua più alta tradizione rinunciando a maestri come Dante pur di non offendere le coscienze islamiche?

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Non far leggere Dante, oltrechè una mancanza di rispetto verso le nostre origini, comporterebbe anche una ristrettezza di prospettiva storica e una sconfitta rispetto al lavoro di chi dovrebbe formare coscienze critiche. Perchè la cultura non possiede casa né confini, non risponde a logiche di appartenenza e di stanzialità, ma travalica nazionalismi e integralismi, e attraversa il tempo per innestarsi in orizzonti a venire.
Che dire, poi, del fatto di adottare la censura culturale preventiva, anche quando non richiesta?
Prostrandosi a questa ennesima umiliante sottomissione alla cultura islamica, sembrerebbe quasi che l’Italia si stesse arrendendo all’Islam, che il comportamento ‘politicamente’ ragionevole stesse violando i principi di laicità della cultura e di libertà del pensiero, estirpando le radici stesse della nostra civiltà.
Operando in questo modo, l’immagine che l’Italia offre di sé è quella di un territorio di facile conquista: mostrandosi così arrendevole all’Islam, il nostro Paese manifesta una grande paura per il diverso, una paura che supera di gran lunga l’orgoglio per le sue sorgenti culturali e i capolavori della sua letteratura. Eppure la nostra civiltà si fonda sul rispetto della diversità.
Ma rispettare il diverso non significa rinunciare alle proprie tradizioni né adeguarsi remissivamente alla cultura altrui con lo scopo di non offendere coloro che professano altri credo e coltivano altre usanze.
Rispetto non è sinonimo di accondiscendenza. Ogni popolazione ha il diritto di coltivare e mantenere fede alle proprie tradizioni, e nessuno può cercare di limitare questa prerogativa. Lo stesso vale anche per coloro che approdano nel nostro Paese nella speranza di poter godere migliori condizioni di vita: il rispetto delle tradizioni è un diritto sacrosanto, senza tuttavia tentare di imporle o sovrapporle ad altre.


 

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Angela Gadducci
Author: Angela Gadducci

Angela Gadducci è una professoressa con incarico articoli per la sezione etica e società ma anche storia e cultura. Già Dirigente scolastica e Coordinatrice di Attività di Ricerca didattica presso le Università di Pisa e Firenze, è autrice di articoli e libri di politica scolastica. Significative le sue collaborazioni con le riviste Scuola italiana Moderna, Scuola 7, Continuità e Scuola, Rassegna dell’Istruzione, Opinioni Nuove, Il Mondo SMCE.

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