La Giornata della Memoria è l’unica ricorrenza civile celebrata da tutti i Paesi dell’Unione Europea: caratterizzandosi per l’opposizione ai totalitarismi, al razzismo e all’antisemitismo, è stata inserita nel calendario di ogni Stato membro in modo da contribuire alla costruzione di un’identità europea fondata sulla memoria degli orrori nazisti nell’intento di immunizzarla dal ripetersi di eventi analoghi. E’ proprio di fronte a simili atrocità che diventa fondamentale il ruolo della memoria: per contrastare la tendenza a dimenticare i periodi più tragici e oscuri della storia collettiva, il dovere della memoria è quello di condurre un’irrinunciabile lotta contro l’oblio affinchè al passato venga resa giustizia, tanto più se l’imperativo di giustizia riguarda un trascorso di crimini contro l’umanità. Ma possiamo davvero parlare di una memoria della Shoah propria di un’Europa unita? Certo è che il genocidio ebraico del 20° secolo si configura per tutti come un orrore sovrumano e incommensurabile, ma non in tutta Europa questa giornata si commemora allo stesso modo.
Oltre al fatto che in alcuni Paesi è stata introdotta grazie all’impegno delle Comunità ebraiche e non dello Stato, la distruzione dell’umano perpetrata dai nazifascisti viene anche commemorata in giorni diversi.
L’Austria, per esempio, la celebra il 5 maggio, data della liberazione del campo di Mauthausen, mentre l’Olanda, il Belgio e la Slovenia la ricordano nelle date della loro liberazione dai nazisti, rispettivamente il 4, l’8 e il 9 maggio. Il Lussemburgo la onora il 10 ottobre quando venne fatto fallire un tentativo di censire gli ebrei, mentre in Grecia viene celebrata in date diverse a seconda delle località: a Salonicco, per esempio, è commemorata il 15 marzo, in occasione della prima deportazione degli ebrei di Salonicco nel 1943. Spostandoci nell’Europa Orientale, la Bulgaria celebra la Giornata il 10 marzo quando i nazisti furono costretti a rinunciare alla deportazione degli ebrei bulgari nel 1943, l’Ungheria il 16 aprile in occasione dell’istituzione nel 1944 del primo ghetto, la Lituania il 23 settembre quando nel 1943 venne liquidato il ghetto di Vilnius, la Romania il 21 gennaio in ricordo dell’avvio della persecuzione degli ebrei nel 1941, la Repubblica slovacca il 9 settembre 1941, la Repubblica Ceca e tutti gli altri Stati celebrano la Giornata il 27 gennaio.
In Italia la Shoah ha un alto valore simbolico, riconosciuto da tutti e non solo dagli ebrei: le leggi antiebraiche del 1938 colpirono tutti, non solo gli ebrei. E’ per questo che la sua memoria è divenuta per noi patrimonio culturale di tutti, ebrei e non ebrei, oltrechè dovere giuridico. Infatti la Giornata della Memoria, celebrata ogni 27 Gennaio, è stata istituita con la Legge dello Stato n. 211/2020 “al fine di ricordare la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte”(art.1).
In verità, il 27 gennaio, grazie all’abbattimento dei cancelli di Auschwitz da parte dei blindati dell’Armata Rossa nella loro avanzata verso ovest, ricorre storicamente la liberazione del campo di Auschwitz, elevato a simbolo della furia omicida nazista. Ed è solo per estensione che si commemorano le vittime dell’orrore nazifascista.
La dottrina del negazionismo
Ma anche se alcune celebrazioni che si svolgono in Europa non riguardano in maniera specifica la Shoah, quanto piuttosto la liberazione dal totalitarismo nazista, è pur vero che i problemi che ne scaturirono erano imputabili non tanto alla differenza tra le modalità di realizzazione o le date scelte dai Paesi per la commemorazione, quanto piuttosto agli ostacoli che si frapposero in vista della costruzione di una comune memoria europea, fondata sulla consapevole accettazione dei valori democratici, della libertà e della pari dignità di tutti i cittadini.
L’Unione Europea ha molto lavorato in questa direzione, fintanto che non è approdata alla convalida, da parte del Parlamento Europeo, di una risoluzione sull’importanza della memoria europea per l’avvenire stesso dell’Europa: in occasione del 60° anniversario dell’ingresso delle truppe sovietiche ad Auschwitz il 1° novembre 2005, l’ONU adottò per consenso la Risoluzione 60/7 rifiutando qualsiasi negazione dell’Olocausto come evento storico e condannando “senza riserve” tutte le manifestazioni di intolleranza, incitamento, molestia o violenza contro persone o comunità. Inoltre, al di là dell’esortazione rivolta agli Stati membri di avviare programmi educativi per infondere la memoria del genocidio ebraico nelle generazioni a venire ed impedire che tali orrori potessero ripetersi, nella Risoluzione si conferiva spazio, sia all’Olocausto che ai crimini del comunismo dell’Est, e si indicava il 27 gennaio come giornata internazionale di commemorazione della Shoah.
Ecco che a decorrere dal 1° novembre 2005 il Giorno della Memoria ha assunto rilevanza mondiale.
E’ solo questione di lessico?
Il termine Shoah (dall’ebraico äùåàä che significa “distruzione”) sta ad indicare proprio la distruzione degli ebrei d’Europa per mano nazista. Lo Stato di Israele, infatti, per indicare il giorno dedicato al ricordo dei 6 milioni di ebrei uccisi dalla barbarie nazista, adottò il termine Yom HaShoah: nel calendario ebraico Yom HaShoah o Giornata del ricordo dell’Olocausto, ricorre il 27esimo giorno del nisàn, il 7° mese del calendario ebraico (compreso nel periodo tra marzo e aprile).
Con il passare del tempo la Shoah -conosciuta in tutto il mondo grazie al grande impegno dei sopravvissuti, degli storici, di scrittori, registi e artisti- ha finito per rappresentare un’incancellabile ferita inferta all’intera umanità, quasi l’unità di misura della sofferenza umana, così come Auschwitz è assurto a rappresentare l’insieme dei crimini e dei genocidi.
Anche i vocaboli “sterminio” e “olocausto” sono associati alle stragi di massa, ma risultano impropri se ricondotti alla Shoah. Non si tratta di una mera disquisizione dialettica, ma del rifiuto da parte degli ebrei di riconoscere nelle violenze subite, né una qualsivoglia uccisione, né il senso di un sacrificio. Infatti, “sterminio” sta ad indicare il massacro di un ingente numero di persone, mentre il termine “olocausto” (dal greco λόκαυστος che significa “tutto bruciato”) specifica un sacrificio in senso religioso con il richiamo alla teoria del “capro espiatorio” di girardiana memoria[1], un primitivo meccanismo antropologico che nelle società greche arcaiche consentiva di scaricare la rabbia accumulata su di un unico martire riparatore, destinato ad immolarsi per gli altri.
Ebbene, la Shoah denota qualcosa in più: nonostante abbia raggiunto dimensioni senza precedenti, non si tratta di un annientamento di massa, ma di una serie di massacri premeditati, condotti con la sistematicità scandita da un preciso disegno di eliminazione fisica operato dal Terzo Reich nei confronti di milioni di civili innocenti, colpevoli soltanto di appartenere alla razza ebrea.
L’ideologia nazista della razza parassita
L’odio nei confronti degli ebrei non ebbe origine dal nazismo. Sviluppatosi ad intervalli irregolari nel corso di due lunghissimi millenni, questo sentimento, sorto come odio religioso (l’ebreo assassino di Cristo) e accresciuto sia come fanatismo nazionalista (l’ebreo dedito a difendere i propri spazi e perseguire scopi individuali) che come pregiudizio economico (l’ebreo avido di danaro ed usuraio), parve eclissarsi nel 19° secolo, per poi ricomparire con la sua massima virulenza negli anni ’30 del secolo scorso, quando assunse un nuovo volto, quello di odio razziale (l’ebreo come appartenente ad una razza inferiore). Un odio implacabile secondo cui il popolo ebraico, quale cancro dell’umanità, doveva essere tristemente estirpato per salvaguardare la razza umana.
A questo disprezzo genetico, perseguito in modo totalizzante dal regime nazista sostenitore della “soluzione finale” come terapia salvifica, fece eco l’Italia fascista che espresse l’antisemitismo di Stato con la pubblicazione nel 1938 di un Manifesto della Razza[1].
Nuovi atti di violenza antisemita
Negli ultimi tempi stiamo assistendo ad un incremento degli episodi di antisemitismo che hanno raggiunto livelli straordinari. Questa nuova impennata di odio razziale ai danni delle comunità ebraiche è stata certamente innescata dall’esplosione dei conflitti mediorientali avviati il 7 ottobre 2023: dopo il massacro dei territori israeliani da parte di Hamas e la successiva reazione del governo d’Israele a Gaza, episodi di intolleranza antisemita si sono moltiplicati, sia nell’Unione Europea che nel mondo.
In Francia, per esempio, dal 7 al 31 ottobre sono stati censite ben 819 azioni antisemite -quasi il doppio di quelle registrate nell’intero 2022- che avrebbero condotto a 414 tra fermi e arresti. In particolare, nella notte del 30 ottobre tra il 13° e il 14° arrondissement di Parigi (Parigi è suddivisa in arrondissement,ossia distretti amministrativi autonomi) sono stati rinvenuti una sessantina di graffiti antisemiti, raffiguranti stelle di David, con cui sono stati marchiati gli edifici residenziali dei cittadini di fede ebraica, mentre a Lione una giovane donna di religione ebraica è stata accoltellata nella sua casa, dopo che sulla porta era stata disegnata una svastica. Numeri sempre alti, ma di gran lunga inferiori a quelli francesi, si sono registrati anche in Austria, dove sono stati contati 76 episodi di antisemitismo, con un aumento del 300% rispetto al 2022. A Vienna, per esempio, il 2 novembre è stata profanata l’area ebraica del cimitero centrale: un incendio è stato appiccato nell’anticamera della sala cerimoniale, mentre numerose svastiche sono state disegnate con lo spray sui muri esterni.
In Germania si sono contati 202 episodi di antisemitismo, di cui 7 aggressioni, 5 minacce, 7 attacchi alla proprietà e 183 casi di violenza verbale: il 240% in più rispetto al 2022. Tra le manifestazioni più gravi e violente merita di essere ricordato l’assalto con bottiglie incendiarie alla sinagoga di Brunnenstrasse, nella parte orientale di Berlino, il 18 ottobre. In Italia, sulla base dei dati forniti dal Cdec (Centro di documentazione ebraica contemporanea), dall’attacco di Hamas fino al 31 ottobre, sono stati registrati 42 casi di antisemitismo, il doppio rispetto allo stesso periodo del 2022, mentre nel corso del 2023 sono stati rilevati complessivamente ben 278 episodi di odio, violenze e attacchi a persone o cose, insulti, graffiti e scritte, discriminazioni e minacce, contro i 241 del 2022 e i 226 del 2021. Insulti e minacce compaiono soprattutto sui social, ma sono in crescita anche aggressioni verbali e distruzioni.
La sera del 31 ottobre, per esempio, un atto di profanazione è stato compiuto a Roma, nel quartiere Trastevere: ignoti hanno tentato di dar fuoco a due pietre d’inciampo(così sono detti i blocchi di pietra ricoperti di lamine d’ottone) collocate sul lastricato in memoria di due deportati, vittime della follia antisemita.
Nuovo antisemitismo?
Tutti questi eventi sembrerebbero testimoniare che lo spettro dell’antisemitismo non è scomparso con le camere a gas e i forni crematori, ma si sta riaffacciando con rinnovata violenza. Nonostante alla Shoah -il suo tragico apice- siano seguiti decenni di appelli affinché simili orrori non si ripetessero, negli ultimi tempi l’insofferenza e il disprezzo verso gli ebrei sembrano essersi rafforzati in tutto il mondo creando una solida cortina di odio, un odio irrazionale verso un popolo accusato tuttora di cospirare ai danni del resto dell’umanità. Ed è proprio alla luce di quest’imponente crescita di aggressioni a danno di cittadini ebrei, che si sta diffondendo la teoria del “nuovo antisemitismo” nel solco tracciato qualche anno fa dal sociologo francese Pierre-André Taguieff[2] il quale sosteneva che il “nuovo antisemitismo” derivasse da un atteggiamento ostile nei confronti dello Stato d’Israele, non riconducibile ai vecchi e classici stereotipi sugli ebrei.
Sta di fatto che oggi gli ebrei europei vivono nuovamente all’ombra della paura. E tutto questo ci conduce ad una preoccupante considerazione.
Esiste davvero un antisemitismo di ieri, che l’Italia ha vissuto sulla propria pelle, e un antisemitismo di ritorno scaturito dai conflitti scoppiati in quell’area mediorientale divenuta ormai una polveriera?
Verrebbe quasi da pensare che la ritualità della storia, scandita dall’incessante ripetersi degli eventi, stia riproponendo i medesimi orrori di una volta, come se gli uomini -incapaci di guardare oltre- si aspettassero il ripresentarsi di fatti significativi della storia passata, quasi che fosse nella natura delle cose che a un genocidio dovesse succederne un altro.
E’ innegabile che la miccia sia stata innescata dai conflitti armati del 7 ottobre, ma al di là delle motivazioni più profonde -da ricondursi all’insofferenza verso le politiche dello Stato d’Israele- l’ipotesi più accreditata sembra essere la persistenza di radicati stereotipi attribuiti agli ebrei, a dimostrazione di un rinverdito sentimento di intolleranza ed abominio. E’ vero che sugli ebrei giace -ormai sedimentata- un’avversione che scaturisce da un coacervo di pregiudizi millenari, ma ritengo che sia soprattutto l’insofferenza nei confronti del diverso, sentimento intrinsecamente radicato nella mente dell’uomo, a condurlo ad atteggiamenti di ostilità ed esclusione verso chi non appartiene al suo mondo.
Successivamente all’epoca postnazista ci siamo imbattuti in nuove guerre e violenze, in nuove forme di violazioni e di razzismi: atti persecutori nei confronti delle minoranze, xenofobia anti-immigratoria, manifestazioni e guerre etnonazionaliste. Ma l’ebraismo ha da sempre rappresentato la diversità per antonomasia.
Note
1)Sotto l’egida del Ministero della Cultura Popolare, 10 accademici italiani pubblicarono su Il Giornale d’Italia del 14 luglio 1938 con il titolo “Il fascismo e i problemi della razza” il Manifesto degli scienziati razzisti o Manifesto della razza, che anticipò di poche settimane la promulgazione delle leggi razziali fasciste (settembre-ottobre 1938).
2) R.Girard, Il capro espiatorio,1982;RR.Girard, Il capro espiatorio, 1982;