Shoah tra storia e memoria
Il Giorno della Memoria, come ricorrenza civile istituita nel 2000 dal Parlamento italiano e celebrata il 27 gennaio di ogni anno in ricordo dello sterminio del popolo ebraico nei campi nazisti, ha assunto particolare rilevanza a decorrere dal 26 gennaio 2007, quando l’Assemblea Generale dell’ONU adottò una risoluzione che rifiutava e condannava ogni forma di riduzionismo o negazionismo dell’Olocausto come evento storico. L’aspetto distorsivo degli eventi storici, estraneo a qualsiasi metodologia scientifica minimamente comprovata, si accompagna ad un’ideologia che ricongiunge tratti del nazionalismo tedesco a recrudescenze antiebraiche, istigazione all’odio razziale a rigurgiti neonazisti nonché alla diffusione di dottrine xenofobe e antisemite, molte delle quali alimentate da tesi negazioniste o riduzioniste.
Che il tentativo di epurazione del passato sia del tutto funzionale a creare una certa egemonia culturale, è cosa risaputa. Ma mentre l’intento dei riduzionisti è quello di ridimensionare la portata della Shoah e della barbarie nazista, i negazionisti o “assassini della memoria” -per dirla con lo storico francese Pierre Vidal-Naquet (“Gli assassini della memoria.Saggi sul revisionismo e la Shoah”, 2007)- sono un gruppo di sedicenti storici che tentano di convincere il mondo che il programmato annientamento fisico di milioni di ebrei nei campi della morte sia la più grande impostura del 20° secolo operata dalla propaganda di matrice sionista: un mito costruito a tavolino dai lobbysti della ‘vittima perfetta’, un ricatto morale per rivendicare un risarcimento da parte della Germania e dell’Europa finalizzato alla costituzione dello Stato di Israele.
Vero è che nei campi di sterminio nazisti furono uccisi non solo ebrei, ma anche omosessuali, disabili, Testimoni di Geova, Polacchi, Slavi, Rom, Sinti e varie altre minoranze etniche; tuttavia, i negazionisti sono interessati a negare soltanto il genocidio ebraico, senza prendere in considerazione le altre vittime della ‘pulizia razziale’ hitleriana.
Il negazionismo in rete
Purtroppo ai sostenitori del negazionismo non è bastato manomettere o addirittura stravolgere la storicità di prove documentarie. Nell’ultimo ventennio la Shoah viene contestata anche su piattaforme social che ai nostri giovani propongono, come unico orizzonte di riferimento, il disprezzo della cultura, l’amnesia del passato, la denigrazione dei più deboli e delle diversità, l’incoraggiamento della sopraffazione e la competizione ad oltranza di tutti contro tutti. Anche certi siti dedicati, ospitando contenuti di questo genere, incitano alla violenza e tentano di indottrinare, soprattutto i giovani, a dubitare dell’esistenza degli avvenuti crimini nazisti e a credere all’inganno. Perchè una massa consistente di internauti è attratta da messaggi, opinioni, interpretazioni impregnate da quell’antico sentimento di odio di cui le tecnologie contribuiscono ad amplificare la portata e la risonanza. Da qui, la necessità che la politica di repressione del negazionismo si combatta anche in formato digitale.
E’ ragionevole supporre che, tra i giovani, la distorsione, la banalizzazione o negazione di eventi storici possa essere imputata alla loro scarsa istruzione, ad una forma di provocazione o al rifiuto adolescenziale di una narrazione precostituita, ma è certo che le giovani generazioni -smartphone alla mano- vengono bombardate da informazioni di ogni tipo e che la loro sensibilità civile, già fortemente illanguidita dalla fase storica che stiamo attraversando, possa venirne del tutto anestetizzata. Restrizioni e i limiti dovrebbero pervenire dalla stessa Rete. E così è stato nel 2020, quando Mark Zuckerberg cofondatore, presidente e amministratore delegato di Facebook dichiarò che la piattaforma social avrebbe oscurato ogni contenuto che negasse o proponesse una visione contraffatta dell’Olocausto. Inoltre, garantì che gli utenti che avessero cercato la parola Olocausto su Facebook sarebbero stati indirizzati verso siti autorevoli da cui poter acquisire informazioni precise.
Le fake history della legislazione
Le tendenze negazioniste sono sempre state apertamente condannate, sia a livello sociale che istituzionale. La prima nazione ad adoperarsi nel legiferare è stata la Francia (la Legge Gayssot del 1990 puniva tutti coloro che “contesta[va]no l’esistenza di uno o più crimini contro l’umanità”), ma negli anni ’80 fu proprio la Germania ad iniziare una lotta sistematica contro le attività propagandistiche collegate a gruppi di matrice neonazista, sino ad addivenire, nel 1994, alla Legge che riconosceva come delitto la cosiddetta “menzogna di Auschwitz”. Dagli anni ’90 in poi prese l’avvio una corsa alla statuizione antinegazionista nell’intento di tacitare chiunque volesse cancellare la memoria della Shoah.
In Italia, dopo un’intensa lotta contro chi alimentava politiche di odio, segregazione e oppressione (L654/1975 e L.85/2006), il dissenso verso chi falsificava palesemente la storia negando o minimizzando l’esistenza della Shoah, fu legittimato dall’emanazione della L.115/2016 che, configurandosi come un tentativo di imporre una ‘verità di stato’, attribuì rilevanza penale alle affermazioni negazioniste della Shoah, dei genocidi, dei crimini di guerra e di quelli contro l’umanità, e alla loro diffusione. La legge 115 prevede, infatti, la reclusione da 2 a 6 anni per azioni di propaganda, istigazione e incitamento alla discriminazione o all’odio razziale, etnico o religioso: non basta la sola negazione della Shoah, ma le modalità della condotta debbono essere tali da costituire un concreto pericolo di diffusione delle idee razziste.
Conoscenza storica come dovere civico
Lasciare che l’Olocausto svanisca dalla memoria sarebbe un disonore verso il passato, verso il popolo ebreo e le sue vittime, ma il non conoscerne la storia avrebbe un risvolto ancora peggiore, perchè significherebbe non rendersi conto degli abissi in cui può sprofondare l’umanità. La conoscenza della storia e la memoria del passato sono, dunque, un dovere morale e civile per impedire che le pagine più drammatiche della nostra storia possano ripresentarsi, e per tramandare alle giovani generazioni i sani valori della democrazia. L’importante sarebbe suscitare in loro una sensibilità più vigile e consapevole nei confronti dell’alterità, alimentare lo spirito critico e allenare l’esercizio della memoria come ricostruzione storica affidabile. La memoria deve svolgere il suo ruolo nel processo di progettazione del futuro; un futuro nutrito dei ricordi, delle esperienze e delle testimonianze uniche e insostituibili dei reduci della Shoah, in modo da formare coscienze critiche ed evitare che quell’indicibile iniquità possa ripetersi in età contemporanea. Sta proprio in questo l’attualità del giorno della memoria. Facendo tesoro del passato, la memoria di quel trascorso diventa incrollabile e si configura come una risorsa, un patrimonio che ci orienta nel tempo a venire insegnandoci a testimoniare, a proteggere, a tramandare.
Potrebbe forse risultare anche comoda una sorta di amnesia tale da cancellare nei superstiti la sofferenza suscitata dal ricordo di quegli atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità. Ma “Il ricordo della Shoah è sempre”: queste le parole pronunciate quest’anno dalla senatrice Liliana Segre alla cerimonia commemorativa dell’80° anniversario della Shoah nel quartiere ebraico di Roma, mentre ad Auschwitz -presenti i reali di Spagna, Danimarca, Norvegia e Re Carlo d’Inghilterra, i capi di Stato tra cui Macron, Zelensky e Mattarella, capi di governo e rappresentanti istituzionali- circa 50 sopravvissuti del campo di sterminio, portatori di una memoria storica collettiva, hanno consegnato all’umanità le loro drammatiche testimonianze e invitato i leader mondiali a riflettere con lucidità sugli orrendi massacri del presente, che sembra non essersi immunizzato dalle aberrazioni del passato.
Basterà il ricordo della terrificante soppressione fisica di milioni di persone a far capire che la logica dell’odio e della violenza non potrà mai trovare giustificazione alcuna perché nega la nostra stessa umanità?
Crescita umana come criterio etico
Molti pensano che l’adozione dei diritti umani come criterio etico, preambolo imprescindibile di ogni Costituzione che si rispetti, metta al riparo da ipotetiche spirali di violenza. Non è così, anche se l’odio verso l’altro e la negazione della persona umana, valore cardine della nostra civiltà e della nostra Costituzione, non troveranno mai scampo. Come pure l’odio antiebraico.
Probabilmente, avendo affiancato per millenni la storia dell’uomo, l’antisemitismo non sarà mai del tutto cancellabile: i pregiudizi sono talmente radicati nella cultura occidentale che, non appena trovano l’occasione per riaffacciarsi, diventano esplosivi e catastrofici.
D’altronde, come ci insegna l’antropologo tedesco Arnold Gehlen (“L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo”, 1940), l’uomo è un essere manchevole, incompiuto, difettivo, non riesce a dominare se stesso; talvolta, lasciandosi sopraffare da indefinite pulsioni e dall’esaltazione del potere, si disumanizza. Pertanto, senza una coscienza critica e un responsabile impegno etico nel promuovere società scevre da credenze pregiudizievoli e fondate sul rispetto della diversità come universale riconoscimento del valore intrinseco di ogni persona, il futuro dell’essere umano è destinato inesorabilmente a naufragare. Solo l’etica può rappresentare l’unico vero ponte per il futuro.