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L’Islam in Europa

Centralità di una minoranza

La presenza dell’Islam in Europa, che costituisce una delle novità storiche più rilevanti degli ultimi decenni, è da tempo oggetto di riflessioni e dibattiti.
Inseritosi inizialmente come minoranza e riuscendo alla fine a conquistarsi il podio come la principale componente religiosa non cristiana dopo quella cattolica, l’Islam – destituiti i caratteri della patologia per assumere quelli di una condizione fisiologica sempre più diffusa- rappresenta oggi uno degli attori sociali più significativi in seno ad un’Europa dove è approdato transitando dallo stato di ex-nemico a quello di co-inquilino, oramai irreversibilmente stanziale e destinato a condividere terre, relazioni e pratiche socio-culturali dei nostri Paesi.

Identità pubblica e frammentazione sociale

L’emergente protagonismo di un’identità musulmana europea potrebbe far pensare all’esistenza di un forte sentimento di aggregazione. In realtà, una cosa è l’affiliazione religiosa all’universo islamico, altra cosa è l’appartenenza culturale che evidenzia al proprio interno un innegabile e complesso pluralismo sociologico. Tra i musulmani che risiedono in Europa esiste, infatti, una pluralistica commistione di congregazioni e identità, correnti

tradizionalistiche e tendenze innovative (attivate dall’influenza del contesto europeo), reti sociali e divisive rivalità personali, da contribuire alla nascita di quella nuova declinazione dell’Islam -l’islamismo europeo’- che, quasi una nuova categoria etnica, induce le nuove generazioni musulmane del nostro Continente a qualificarsi, a livello collettivo, come credenti musulmani e, a livello personale, come abitanti europei.
Era, pertanto, inevitabile che la massiccia presenza islamica in Europa scatenasse accese reazioni. Perchè l’Islam, non solo costituisce un ulteriore elemento di quel processo di accelerata e magmatica pluralizzazione culturale e sociale che il vecchio Continente sta attraversando, ma ne rappresenta anche il fattore più incisivo sotto il profilo simbolico. Espressione di identità culturali e religiose che non si lasciano assorbire o privatizzare, l’Islam ha una visibilità molto più marcata rispetto ad altre comunità di fede. E non è solo una questione di hijab, niqab o burka, ma anche di etica, tradizioni, costumi, stili di vita, norme rituali fortemente caratterizzanti, solitamente poco comprese e scarsamente tollerate dalle politiche occidentali e dalle società europee, in particolare.

Le tappe dell’Islam in Europa

La presenza islamica in Europa non è certo una novità: l’Andalusia e la Sicilia conobbero una lunga dominazione musulmana, vaste aree dell’Europa orientale e dei Balcani furono governate dall’impero Ottomano, e buona parte del Portogallo venne assoggettato al controllo musulmano dall’8° al 13° secolo.
Ma il problema di un’identità musulmana europea non si esaurisce nel corso dei secoli a noi più vicini. Anzi, si ripropone a partire dalla metà del secolo scorso, per quanto i termini della questione siano ben diversi.
Dagli anni ’60 in poi l’Europa ha assistito a diversi cicli migratori di persone musulmane, e l’Italia -tappa terminale della rotta migratoria- è diventata una delle principali mete dei migranti islamici. Fino agli anni ’70, senza destare particolare preoccupazione, la loro presenza si concretizzò in una timida consistenza di cittadini appartenenti all’Islam (palestinesi, siriani e giordani) giunti nel nostro Continente in qualità di commercianti, diplomatici e studenti assegnatari di soggiorni-studio. Successivamente, a seguito dello shock petrolifero degli anni 1973-74 scanditi da una crescente disoccupazione, dall’acuirsi della crisi economica e dal blocco delle politiche migratorie che diedero l’avvio ad un’imponente clandestinazione delle migrazioni, i musulmani già presenti nel nostro territorio e quelli che vi giunsero in maniera abusiva, decisero di rimanervi stabilmente, consapevoli del fatto che avrebbero vissuto meglio nel Paese d’accoglienza piuttosto che in quello d’origine. A questo primo ed effettivo flusso migratorio, costituito prevalentemente da uomini di fede islamica che andavano ad inserirsi in un mercato del lavoro informale e di basso livello (pesca, agricoltura stagionale, vendita ambulante, manodopera di basso costo), seguirono altri consistenti cicli migratori: i flussi degli anni ’80, più fluidi, deregolamentati (regolarizzati, poi, con delle sanatorie) e caratterizzati da una provenienza etnica e un’appartenenza religiosa tra le più diversificate; le migrazioni degli anni ’90 dovute principalmente al crollo dei regimi totalitari nei Balcani; gli spostamenti risalenti agli anni tra il 2001 e il 2011 che segnarono un momento fondamentale per la stabilizzazione in Europa delle comunità musulmane.

La nuova scena dell’Islam europeo

Dal 2011 in poi l’Europa registrò un massiccio incremento di musulmani provenienti dai Paesi coinvolti nelle Primavere Arabe scoppiate nel 2010. In particolare, aumentò il numero delle donne e dei giovani musulmani tra i 6 e i 24 anni di età.

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Crescita, questa, imputabile a diversi fattori: l’effetto dei ricongiungimenti familiari, l’elevato e costante tasso di natalità delle famiglie musulmane, ma anche la costituzione di unioni miste (la presenza di europei convertiti all’Islam è attualmente in espansione) che determinarono consapevolezza razziale, sviluppo di strategie reattive/proattive e ridefinizione della propria identità.
Si inaugurò così una nuova stagione in cui i giovani islamici, desiderosi -a differenza degli adulti- di un riconoscimento anche nella sfera pubblica- tentarono di elevarsi al protagonismo più completo. Reclamando un processo di integrazione e di ascesa sociale nel contesto della società ospitante, cominciarono ad infondere voce ad aspettative e punti di vista propri. In altri termini, mentre i genitori, ancorati all’immagine dei musulmani in migrazione, continuavano a rifugiarsi nelle comunità etnico-nazionali e negli spazi a loro dedicati per trovare conforto, riconoscimento e rispetto, i figli -presenti e attivi nelle città europee- rivendicavano maggiore visibilità e partecipazione nello spazio europeo, in modo da diventare interlocutori autonomi e partners rilevanti nelle relazioni cittadine transnazionali. E fu proprio questo dinamismo civico e sociale che li spinse ad elevarsi ad esponenti di quella corrente islamica che va sotto il nome di ‘islamismo europeo’, anche se la locuzione non riflette in maniera adeguata la realtà socio-culturale della presenza islamica in Europa, talmente frammentata per etnia, nazionalità e correnti religiose da risultare inconciliabile con una visione omogenea.

Il difficile protagonismo dell’Islam autoctono

Anche in Italia la crescita esponenziale dei sostenitori dell’Islam riafferma ancora più nettamente la presenza e l’interesse per un islamismo nostrano. Esemplare la quantificazione di cittadini musulmani nel nostro Paese. Con riferimento a stime desunte da rilevazioni varie, nel 2011-12 i musulmani stranieri residenti in Italia erano circa 957 mila, pari ad una percentuale del 26,3% della totalità dei cittadini stranieri che si attestava sui 3 milioni e 639mila soggetti. Nel 2017 si contavano oltre 1milione e 400mila fedeli musulmani residenti in Italia, cui erano da aggiungersi gli oltre 10mila italiani convertiti. La stima al 1° gennaio 2021 era di 2milioni e 753mila islamici, mentre nel 2023 la loro crescita si attestava a 2milioni e 900mila unità, pari al 30,8% del totale degli stranieri residenti in Italia.

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Oggi se ne contano quasi 3milioni: una vera e propria crescita esponenziale tesa ad affermare ancora più nettamente la presenza e l’interesse per un ‘islamismo europeo’ al quale siamo pervenuti attraverso il passaggio generazionale e una più generale mutazione culturale che si è originata in seno al nostro Continente.

Islam tra visibilità e dibattito pubblico

Un dato particolarmente esplicativo circa la presenza dei musulmani in Italia riguarda la distribuzione dei luoghi di culto che i musulmani, una volta stabilizzati nel nostro Paese, iniziarono ad edificare per offrire alla visibilità pubblica la percezione che la loro presenza non era temporanea né limitata alle dinamiche locali, bensì normalizzata, incardinata e orientata a sviluppare un’identità e un sostanziale riconoscimento socio-politico.
Intorno al 2010 i luoghi di culto islamici in Italia fra moschee e sale di preghiera erano 769; nel 2016 se ne contavano 1205, di cui 4 moschee, 858 luoghi di culto e 343 associazioni culturali. La loro maggiore concentrazione si trovava nel nord Italia (Lombardia, Emilia Romagna e Veneto) dove risiedeva la maggioranza dei musulmani. Ultimamente, nell’intento di prevenire espressioni di radicalismo religioso e contrastare la diffusione di luoghi di culto islamici fuori norma, il Governo ha dato il via libera ad una stretta sulle sedi utilizzate da associazioni di promozione islamica per svolgere attività di culto.
Ma la presenza dei luoghi di culto e il loro costante aumento nel corso degli anni non è mai stato sinonimo di un alto livello di integrazione socio-culturale, soprattutto tra i vecchi musulmani. I giovani musulmani, grazie alla loro stabilità territoriale e al riconoscimento della cittadinanza italiana, si sono oggi perfettamente integrati nelle società europee e partecipano alla vita economica, sociale e politica dei Paesi di residenza frequentando scuole pubbliche. Centri di promozione culturale, sociale e civile, le scuole rappresentano l’ambiente essenziale per favorire l’integrazione, per quanto resti il problema di come contemperare la partecipazione dei giovani musulmani a festività e riti propri della religione islamica con la frequenza e le attività svolte nelle nostre scuole. Si pensi, per esempio, alle prassi decisionali relative ai ben noti casi di Pioltello, dove la scuola venne chiusa in occasione della fine del Ramadan, e di Soresina, dove venne disposto il divieto (poi revocato) di consumare merende davanti agli alunni praticanti il digiuno rituale dettato dall’Islam. Le controversie che ne hanno fatto seguito sono scaturite non appena l’Islam, slittando dalla sfera privata a quella pubblica, ha messo sempre più in evidenza la necessità di un’Intesa pattizia che disciplini il rapporto tra Stato Italiano e comunità islamica, in modo da regolamentare alcune sue specifiche modalità d’espressione nel rispetto dell’ordinamento giuridico accogliente.

Condizione giuridica delle comuità islamiche in Italia

L’art. 8 della nostra Carta costituzionale prevede il diritto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica di “organizzarsi secondo propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano”. Ma per assicurare una pacifica convivenza civile non basta che l’associazionismo musulmano dimori in seno ad un ordinamento statale che garantisca a tutti l’esercizio dei diritti civili e sociali, né che si sia espresso, nel corso degli anni, attraverso numerose pubbliche prese di posizione a favore di una base valoriale coperta da garanzia costituzionale. La stipula di un’Intesa getterebbe un ponte tra Islam e mondo occidentale mostrando i legami tra le due culture e dimostrando che i musulmani rispettano le leggi del Paese ospitante rifiutando ogni forma di terrorismo.

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Senonchè, di fronte ad un nebuloso pluralismo di anime culturali e religiose, emerge la difficoltà di individuare figure qualificate a rappresentare il mondo islamico nella società italiana, leaders carismatici in grado di predicare la necessità di interagire proficuamente con le nostre istituzioni nazionali di cui essi stessi ignorano spesso l’esistenza nonchè le loro specifiche norme. Ciò costituisce impedimento ad una concreta e fattiva legittimazione musulmana in Europa. Ma saremmo, comunque, certi che con la nascita di un pensiero islamico europeo, opportunamente codificato, si porrebbe fine a dispute e divergenze tra i due mondi?


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Angela Gadducci
Author: Angela Gadducci

Angela Gadducci è una professoressa con incarico articoli per la sezione etica e società ma anche storia e cultura. Già Dirigente scolastica e Coordinatrice di Attività di Ricerca didattica presso le Università di Pisa e Firenze, è autrice di articoli e libri di politica scolastica. Significative le sue collaborazioni con le riviste Scuola italiana Moderna, Scuola 7, Continuità e Scuola, Rassegna dell’Istruzione, Opinioni Nuove, Il Mondo SMCE.

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