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 L’urlo sordo della noia

C’è un fondo di sgomento nella scritta che campeggia su un muro della poderosa fortezza della Cittadella di Pisa: una lunga teoria di archi in mattone rosso che   s’innesta nel tracciato delle mura medievali e si specchia quasi solitaria sulle acque dell’Arno. Non si tratta di un graffito né di street art; non è uno slogan né un’aberrante espressione di scherno, ma un sordo e angosciante grido d’allarme: NOIA.

Chi nella vita non ha conosciuto la noia? La noia è un disagio, una sensazione  spiacevole che viene esperita in ambienti percepiti come monotoni, noiosi o scarsamente stimolanti. Nelle forme più lievi, la noia scaturisce dalla mancanza di qualcosa di sufficientemente divertente da fare; talvolta è proprio il vivere in contesti che offrono scarse risorse di svago o il coinvolgimento in attività poco sfidanti rispetto alle proprie capacità, a determinare una condizione di monotona ripetitività. Nei casi più gravi, emerge indipendentemente da circostanze esterne e diventa un malessere che può causare sofferenze mentali oltrechè disabilità funzionali e sociali. Si tratta della noia cosiddetta ‘patologica’ che può dilatarsi fino a colmare un senso di vuoto interiore tale da paralizzare ogni entusiasmo, spegnere ogni iniziativa, ogni scopo, fino ad assumere la dimensione di una vera e propria perdita di significato della vita. Ed è proprio l’aver smarrito il senso della vita che fa sprofondare i giovani in quella tristezza di vivere che si affianca a sentimenti di disinteresse, demotivazione, inutilità.

Noia e solitudine giovanile

E’ questa la preoccupante sensazione lamentata dagli adolescenti. Demotivati e spenti, i giovani di oggi sono come consumati da un male invisibile che li rende incapaci di desiderare e di impegnarsi nel coltivare interessi. Quel senso di noia, che riflette tutti i connotati dello spleen di sapore baudelairiano, discende da una sorta di prostrazione, di impotenza, da una scarsa capacità immaginativa nei confronti degli anni a venire. Il futuro minaccioso e imprevedibile offerto dalla società odierna induce i giovani a non guardare oltre l’orizzonte dell’immediato. Sospesi in un eterno presente che li rende incapaci di proiettarsi in un futuro come orizzonte intenzionale, i nostri giovani si lasciano pervadere dalla monotonia del quotidiano. Ogni possibile esperienza risulta priva di attrazione e allora trascorrono interi pomeriggi sdraiati sul letto o sul divano davanti alla tv o alle prese con lo smartphone, coperti da una spessa coltre di noia: navigano senza meta sul web o tra i social, mentre i videogames li eleggono a protagonisti di battaglie virtuali contro il nulla.

In questo mondo, in cui sembra acquistare significato e valore solo il vivere la propria vita in funzione dell’immediato soddisfacimento delle proprie pulsioni, il termine “valore” sembra assumere il significato di misurazione della capacità prestazionale, che non deriva certo da esperienze maturate o da processi di apprendimento: ha valore solo ciò che di soddifacente riusciamo a fare nel più breve tempo possibile. Ecco allora che in una vita sostenuta dalla logica dell’accelerazione -un’esistenza caratterizzata quasi da un’eterna corsa- si modifica anche la concezione stessa del tempo. Per i giovani, dominati dall’impazienza e dall’intolleranza dell’attesa, il tempo si dipana esclusivamente nella sfera del presente, un presente perenne e dilatato, dinanzi al quale crolla ogni prospettiva di progettualità e di futuro. Pertanto, per chi è alla costante ricerca di gratificazioni istantanee, il tempo della noia è solo tempo ‘perso’. Naufragando nella sua nullità, i giovani percepiscono il tempo che scorre, ma non lo vivono appieno: il tempo storico, che essi sentono dissolversi insensatamente, non corre di pari passo con quello interiore. E’ come un orologio senza lancette, e i giorni si ripetono tutti uguali: stesse persone, stessi ambienti, stesse attività, in attesa che accada qualcosa di miracoloso che li scuota dal torpore. E intanto la tristezza comincia a pervaderli. Perchè la nostra è l’epoca delle “passioni tristi”, locuzione di spinoziana memoria (B.Spinoza, Etica, 1677) che sta ad indicare non tanto l’afflizione della sofferenza bensì la percezione di sfiducia in un futuro che sembra dominato dal sentimento della rassegnazione.

Il tormento delle passioni tristi

Sfiduciati e malati di malinconia, la sensazione di una vita svuotata di significato li fa precipitare in una costante condizione di solitudine, precarietà e paura. E inabissandosi in questa crisi esistenziale, vengono drammaticamente a trovarsi faccia a faccia con le grandi incognite della vita: catastrofi ecologiche, discriminazioni sociali, disastri economici, esplosioni di violenza, forme di intolleranza, pervasività di egoismi, pratica abituale della guerra, comparsa di nuove malattie e di letali pandemie. Sono queste le “passioni tristi” che affliggono i giovani di oggi facendo sprofondare ogni loro aspettativa di crescita nella negatività più esasperata: sono riuscite ad insinuarsi nelle loro menti e nei loro animi con un impeto tale da disarmarli disseccandone ideali, spegnendone iniziative, svuotandone speranze per lasciare spazio a sentimenti di inadeguatezza ed apatia. E quando la noia diventa gravosamente persistente, può risultare talmente dolorosa da indurre nei ragazzi l’impulso a sfuggire dalla percezione di vacuità della propria sfera vitale per assumere comportamenti disfunzionali, rischiosi o, addirittura, delinquenziali. Travalicando le norme del vivere civile e il rispetto di sé per cercare sollievo attraverso vie di fuga alternative, il rischio può essere rappresentato dall’interiorizzazione di condotte difformi che non tardano ad assumere la fisionomia della devianza. Ecco allora che i nostri giovani iniziano a fumare, a bere, a drogarsi, ricercano eccitazioni fini a sé stesse, diventano aggressivi, si buttano a capofitto nel mondo digitale tanto da non distinguere più la differenza tra mondo reale e mondo virtuale, mentre, nei casi più disperati, tentano il suicidio.

Foto di PublicDomainPictures da Pixabay

Giovani e nichilismo

In una società globale, sollecitata da una moltitudine di stimoli e ossessionata dall’iperattività, dalla competitività, dalla richiesta di performatività, dal successo immediato e dalla smania di visibilità, sempre più giovani lamentano sofferenze psichiche: paura del fallimento, incertezza sul futuro, insoddisfazione, solitudine.

Il tema della solitudine giovanile non è, dunque, una questione sociale, legata alle frequentazioni esterne, ma un malessere interiore, frutto del vuoto identitario, dell’assenza di prospettive future, della mancata risposta agli interrogativi sul senso medesimo della vita. Purtroppo i giovani non sanno descrivere il loro malessere, perchè non riescono a dare un nome alle emozioni che provano. D’altronde, che nome potrebbero attribuire a quello stato d’animo, a quel nulla che li pervade e li sommerge? Nietzsche lo chiamava nichilismo e lo definiva come “il più inquietante fra tutti gli ospiti” (F.Nietzsche, La gaia scienza, 1882) a significare che i fondamenti, i valori universali, i principi-guida che un tempo orientavano il nostro essere e agire nel mondo, sono stati deprivati del loro significato lasciando spazio al nulla. Ma il nulla sollecita la noia, il senso di vuoto, e dal vuoto emerge con prepotenza il sentimento dell’angoscia da ricondurre essenzialmente a due ordini di motivi: da un lato, al fatto che la vita che non viene più bonificata dalle emozioni, le sole che, generando relazioni interpersonali costruttive, possono conferirle un senso; dall’altro, ad un’esistenza oramai dominata dall’IA (un tempo, si parlava di ‘rivoluzione digitale’) che, pur aprendo nuove frontiere sul fronte della produttività e dell’occupazione, rischia paradossalmente di serrare l’orizzonte emotivo-affettivo collocando in secondo piano le gerarchie di valore che dovrebbero distinguere, specialmente agli occhi dei più giovani, ciò che è importante da ciò che non lo è. Foriero di una malintesa concezione di libertà come superamento dei limiti, lo straordinario impulso tecnologico non apre scenari di salvezza: sta cambiando l’esistenza degli esseri umani, sia nella loro relazione con i pari che con la famiglia di appartenenza, entrambe estremamente funzionali alla crescita dei ragazzi. Oggi si assiste, infatti, ad una sorta di analfabetismo spirituale delineato da vuoto di eticità e disattenzione alle responsabilità civiche, da immaturità civile e insensibilità verso i problemi sociali in genere. Ed è proprio questa profonda e allarmante privazione della dimensione assiologica che consegna la vita personale e collettiva al nichilismo.

Il nulla e il desiderio di essere

“Non serve a niente metterlo alla porta” (M.Heidegger, Nietzsche,1961). Fondamentale è, invece, accorgersi di quest’ospite inquietante, guardarlo bene in faccia e farlo proprio, come elemento costitutivo della condizione esistenziale, quasi una necessità insita nella nuova dimensione umana globale. Siamo tutti accomunati dalle medesime asimmetrie dell’esistente, dalla stessa diffidenza nei confronti del futuro, dagli identici problemi di vita e di morte. Ne discende che, per uscire da questo circolo vizioso, l’unica via percorribile dall’uomo –essere fragile in balia delle forze della natura- è rappresentata dal sentimento di solidarietà. La complessità, sostenuta dalla logica del possibile, può essere affrontata solo con un profondo sforzo di solidarietà. Ecco allora la necessità di accendere un barlume nel profondo buio del nulla e costruire di volta in volta, in un costante e irriducibile incontrarsi e separarsi, il senso dell’esistenza e dello stare insieme.

E’ questa la grande sfida: conciliare la persona con il proprio destino e con la dimensione di fragilità quale caratteristica costitutiva della condizione umana.

Assumere, come proprio, lo stato che il caso ci ha assegnato significa accettarlo con quelle che sono le sue peculiarità, i suoi obblighi e le sue limitazioni. Ma significa anche promuovere spazi di socializzazione in cui i giovani, affratellati dalle medesime vulnerabilità, riescano a trovare qualcosa che davvero desiderino fare e lo intraprendano animati da passioni gioiose.

Foto di Victoria da Pixabay

In una società come quella odierna che esalta l’individualismo e la competizione sociale, e che impone di essere sempre belli, perfetti ed efficienti, riconoscere le proprie debolezze e inadeguatezze non deve essere considerato un qualcosa di cui vergognarsi, ma una risorsa che consente di vivere gli uni con gli altri, di creare amicizie, di cercare insieme le soluzioni ai problemi. Perchè nessuno può salvarsi da solo. Uniti possiamo, invece, condividere i nostri desideri e le nostre paure, fronteggiare meglio le imprevedibili criticità che la vita ci riserva, sostenersi a vicenda, prendersi cura delle reciproche fragilità. E promuovere legami autentici, sostanziati da pratiche che non abbiano la pretesa di cambiare il mondo.

Contributi

le foto presenti nell’articolo sono state prese dal portale Pixabay, la foto della noia è stata fotografata da Angela Gadducci


 

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Angela Gadducci
Author: Angela Gadducci

Angela Gadducci è una professoressa con incarico articoli per la sezione etica e società ma anche storia e cultura. Già Dirigente scolastica e Coordinatrice di Attività di Ricerca didattica presso le Università di Pisa e Firenze, è autrice di articoli e libri di politica scolastica. Significative le sue collaborazioni con le riviste Scuola italiana Moderna, Scuola 7, Continuità e Scuola, Rassegna dell’Istruzione, Opinioni Nuove, Il Mondo SMCE.

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