L’OSCURO FACINO DELLA GUERRA
Nella turbolenta fase di insicurezza collettiva che stiamo attraversando, determinata da una pandemia non ancora del tutto sconfitta, una rivoluzione climatica spesso incontrollata, un’emergenza energetica tuttora irrisolta, un preoccupante rallentamento della crescita demografica e una crisi economica che rischia di paralizzare il Pianeta, la guerra è entrata a far parte della vita di tutti i giorni diventando quasi un’istituzione.
All’ombra delle ostilità russo-ucraine e del recente conflitto di Gaza tra Hamas e Israele, cronache, ipotesi, studi strategici e geopolitici si alternano ad immagini di deflagrazioni, colonne di fumo, macerie e convogli di mezzi corazzati che scorrono, giorno dopo giorno, sui nostri teleschermi in attesa di un negoziato che tarda ad arrivare. E intanto una sorta di sanguinosa partita a scacchi, giocata a colpi di rapimenti e bombardamenti indiscriminati, continua a martoriare gente innocente destabilizzando l’ordine mondiale. Spacciata, da taluni, come inevitabile, normale, naturale e, persino giusta, la guerra è in realtà lo strumento più potente per azzerare il processo di crescita di una società e contrastare il perseguimento del comune obiettivo di migliorare le condizioni umane sul Pianeta.
PACE COME PROGETTO DI VITA
Ed è proprio in questa tragica cornice che si leva un’accorata invocazione alla pace sostenuta dalla considerazione che sulla Terra i problemi globali potranno essere risolti solo grazie ad interventi cooperativi, fondati su coesione e fratellanza. Pace, dunque, come orizzonte da riconquistare e difendere strenuamente, perchè con il suo giusto e benefico equilibrio, è la condizione propria dell’uomo e la si realizza eliminando tutto ciò che può essere considerato una sua offesa, come la guerra che non fa parte del corredo naturale degli esseri umani. Ma pace non indica semplicemente il superamento dei conflitti armati. Certamente, l’attenzione al problema della pace si fa più netta ed esplicita nella direzione del rifiuto della guerra, come recita l’art.11 della nostra Costituzione che sancisce l’impegno dell’Italia a ripudiare la guerra come strumento di offesa, ma sarebbe inaccettabile la sua riduzione in termini di sopravvivenza fisica. Perchè l’idea di pace, con riferimento alla capacità di partecipare attivamente alla crescita armonica della società e alla determinazione della propria storia personale, si nutre anche della capacità di saper intessere quelle condizioni che consentirebbero a tutte le genti della Terra di poter affrontare i conflitti in maniera costruttiva, misurandosi tra loro con le ‘armi’ del confronto e del dialogo, in modo tale da non subire più violenze, essere rispettati nelle proprie diversità. E gioire delle risorse della natura.
Perchè quando si parla di pace, il richiamo va alla vita stessa, all’armonia dell’uomo con se stesso, con gli altri e la natura, a quel processo intenzionale e consapevole teso al soddisfacimento dei bisogni di ciascuno, al rispetto dei suoi diritti, alla realizzazione di obiettivi di giustizia ed eguaglianza.
PACE COME VALORE SOCIALE
La pace, come esigenza fondamentale dell’umana convivenza, investe la realtà sociale: si appropria dei rapporti tra le persone, delle loro coscienze, dei loro pensieri, ma si fa certezza solo se gli uomini imparano a riavvicinarsi gli uni agli altri nel segno della tolleranza e della solidarietà. Ciò a significare che per poter costruire la pace, come sentimento diffuso e impegno corale, è necessario essere capaci di dialogare con culture e religioni diverse, perchè una pace giusta, che reclama la fiducia nell’altro, passa attraverso la democrazia, la giustizia sociale, la tolleranza, il dialogo, la comprensione, il rispetto per la vita e la dignità di ogni persona, senza cedere al fanatismo, al pregiudizio, al disprezzo e all’esclusione del diverso. Ed è proprio questo il fulcro attorno al quale ruotò il Concilio Vaticano II, l’evento religioso del 20° secolo che cambiò il volto della Chiesa, la più grande assise che la cristianità abbia mai conosciuto: 3000 vescovi di cui 2090 provenienti dall’Europa e dal continente americano, 408 dall’Asia, 351 dall’Africa e 74 dall’Oceania, tutti riuniti in San Pietro per promuovere il ristabilimento dell’unità fra tutti i cristiani. Annunciato il 25 gennaio 1959, il 21° Concilio della Storia della Chiesa si aprì l’11 ottobre 1962 sotto il Pontificato di Giovanni XXIII che ne presiedette il primo “periodo” (Giovanni XXIII morì il 3 giugno 1963) e terminò tre anni dopo, l’8 dicembre 1965.
GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
Nell’atmosfera di speranza che animò il post-Concilio, nel 1968 si concretizzò l’ispirazione, già maturata nell’agosto 1967, di una “Giornata Mondiale della Pace” nell’intento di far crescere nella coscienza di ciascuno la convinzione che la pace, necessaria per sconfiggere la violenza e debellare la guerra, non può essere costruita se non attraverso l’educazione ad essa. “Occorre educare il mondo ad amare la pace, a costruirla, a difenderla”: queste le parole che il 1° gennaio 1968, nel corso della lettura di un messaggio di pace (divenuto poi il primo Messaggio della Giornata Mondiale della Pace), Paolo VI inoltrò “a tutti gli uomini di buona volontà” lanciando l’idea di dedicare al tema della pace il primo giorno di ogni anno, consapevole che la pace poteva essere raggiunta solo se la si conosceva, se se ne parlava e ci si educava ad essa. Fu così che, nel momento più drammatico della guerra del Vietnam, Paolo VI si impegnò ad istituire la “Giornata Mondiale della Pace” che da allora viene celebrata ogni anno -il primo giorno dell’anno- con un messaggio del Romano Pontefice.
LA PACE NELLE APPLICAZIONI PONTIFICIE POST CONCILIARI
PACE COME FRUTTO DI GIUSTIZIA
Considerazioni ed esortazioni al tema della pace animarono l’intero pontificato di Paolo VI. A tal proposito meritano di essere ricordati i viaggi che da “pellegrino di pace” egli intraprese; primo fra tutti quello che nel 1965 lo condusse all’assemblea dell’ONU in seno alla quale affermò che “la pace deve guidare le sorti dei popoli e dell’intera umanità”. Anche nelle sue encicliche la nozione di pace includeva una nuova idea di democrazia che si nutriva di un impegno di giustizia sociale. Nella Costituzione Pastorale “Gaudium et Spes” del 1965 Paolo VI esaltava la stretta correlazione tra pace e giustizia posta in risalto al paragrafo 78 con la menzione del versetto del profeta Isaia 32,17, “opus iustitiae pax” (la pace è frutto della giustizia) che egli elevò a motto episcopale. Nell’enciclica “Populorum Progressio” del 1977, Paolo VI -in linea con gli orientamenti di Giovanni XXIII- guardava alla pace, in alternativa alla guerra, come ad una condizione non statica, non acquisita una volta per tutte, ma che si costruiva dinamicamente, giorno dopo giorno, in un orizzonte in cui la democrazia era chiamata ad armonizzarsi con la giustizia sociale, in un mutuo rafforzamento.
PACE COME COMUNIONE DI ANIME
Nel solco tracciato da Giovanni XXIII e Paolo VI si mosse anche Giovanni Paolo II la cui voce si è spesso levata ad inneggiare la pace. Ne sono particolare testimonianza gli incontri interreligiosi promossi ad Assisi nella “Giornata di preghiera per la pace”. Il primo appuntamento (ottobre 1986), al quale aderirono i leader delle grandi religioni mondiali per dialogare e pregare per la pace, diede l’avvio ad una nuova stagione di incontri tesa al superamento di malintesi, sospetti, attriti e chiusure. “La pace è un cantiere aperto a tutti”, così si espresse Giovanni Paolo II dalla Piazza inferiore della Basilica di San Francesco in Assisi il 27 ottobre 1986 in un periodo storico costellato da momenti di grande tensione (guerra fredda), aggiungendo che la pace “passa attraverso mille piccoli atti della vita quotidiana” a significare che il suo orizzonte di senso, passando oltre gli accordi e i trattati di pace di cui sono fitte le pagine di storia, si concretizza in una trama di pensieri e comportamenti intrisi di tolleranza, generosità e serena convivenza.
PACE COME SUPERAMENTO DEI CONFLITTI
Durante il pontificato di Benedetto XVI, che si adoperò per consolidare la prassi e la dottrina sulla pace dei suoi predecessori, l’impegno della Chiesa in campo diplomatico si incentrò in particolare sulla transitional justice (giustizia di transizione) per riparare alle violazioni dei diritti umani commesse in un dato sistema politico e in un certo periodo di tempo. E’ per questo che la Chiesa promosse incontri e consultazioni internazionali appoggiando le politiche di disarmo e riduzione degli armamenti nucleari.
PACE COME CIVISMO TECNOLOGICO
L’attuale Papa Francesco ha assunto un atteggiamento singolare di fronte alla grande missione della Chiesa sul tema della Pace. Pur rivolgendosi ai potenti della Terra, i suoi interlocutori privilegiati non sono i politici, bensì le associazioni, i volontari delle ONG, i sindacati, il mondo del terzo settore e quello del welfare state. La sua politica è quella del bottom up : partire dal basso, dalle periferie sociali per trasmettere un messaggio di pace laddove regna la violenza, il terrorismo, la guerra. E lo fa con la preghiera, con veglie di pace davanti al Santissimo per scongiurare tragiche vicende belliche. E’ questa la sua ‘arma’, e il suo impegno è quello di favorire, attraverso processi di riconciliazione, un legame di fraterno civismo tra i cittadini promuovendo l’ascolto della voce della coscienza e accrescendo la consapevolezza nel perseguimento della pace in tutti i settori dell’esistenza, dal mercato del lavoro all’economia, dalla scuola alla ricerca scientifica.
Infatti è proprio da ricondurre all’espansione delle nuove tecnologie e, in particolare, dell’Intelligenza Artificiale (di seguito I.A.) il monito lanciato da Papa Francesco durante la lettura del messaggio “Intelligenza artificiale e pace” che ha divulgato il 1° gennaio 2024 per celebrare la 57ª Giornata Mondiale della Pace.
PACE COME ETICA DI COMPORTAMENTO
Attingendo alla dimensione etica sottesa alla ricerca scientifica e alle innovazioni tecnologiche, la raccomandazione di Papa Francesco è che l’I.A.venga utilizzata come strumento di pace. Perchè la crescita esponenziale dei dispositivi digitali, che è andata di pari passo con il tragico moltiplicarsi dei conflitti, può apportare notevoli benefici al futuro dell’umanità -si pensi, per esempio, al ruolo dell’I.A. nella robotica, nel riconoscimento delle immagini, nei sistemi di guida autonoma dei veicoli, nelle attrezzature aerospaziali- ma può anche sconvolgere la vita di interi popoli se non applicata secondo principi etici. In altri termini, la scienza e la tecnologia risultano straordinari prodotti del potenziale creativo dell’intelligenza umana solo nella misura in cui il loro sviluppo si realizzi nel rispetto della giustizia e in condizioni di pace. Diversamente, il ‘potere’ dei Big Data e degli Algoritmi, non solo potrebbe determinare una catastrofe occupazionale con conseguente redistribuzione della ricchezza, ma anche seri problemi di controllo sulla vita delle persone: l’utilizzo dei dati sensibili individuali solleva importanti problemi legati alla privacy come la persistenza dei dati, la possibilità di riutilizzo e le relative ricadute.
PACE COME ARMONICA RESPONSABILITA’ COLLETTIVA
E’ per questo che, in un’era di rivoluzione digitale, sarebbe bene definire una scala di principi etici che rispecchiassero i valori della società e dei cittadini portando l’innovazione tecnologica verso un impiego che contribuisse al perseguimento dell’armonia tra i popoli, al miglioramento delle società e al bene comune. Da qui la necessità di intraprendere politiche tese a mitigare logiche predatorie e di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, a smorzare brame di profitto e sete di potere formando individui liberi dalle tensioni di ambiziosi nazionalismi, di esasperate competizioni o di conflitti provenienti da interessi privati. Non solo. Occorrerebbe anche che i sistemi di I.A. venissero progettati e utilizzati in modo da risultare legalmente affidabili e sicuri per l’umanità, preservando i diritti fondamentali dei cittadini e guardando agli user non come risorsa da sfruttare, ma come partner in un’impresa orientata al benessere della società, della persona e alla sopravvivenza del genere umano. Come non esisterebbe crescita di civiltà se le innovazioni tecnologiche non risultassero tali da determinare uno sviluppo personale e collettivo, ma -al contrario- aggravassero le diseguaglianze scatenando contrasti, allo stesso modo non si potrebbe mai approdare alla pace se non vivendo con quell’impegno e quella responsabilità che, rendendoci protagonisti e artefici dei nostri comportamenti e scelte, ci spingono verso un agire positivo, aperto, cooperativo, democratico.