Trionfo digitale vs Social Crimes
Nel corso di una riunione convocata il 22 gennaio a Strasburgo dal Consiglio d’Europa, il 2025 è stato eletto “Anno Europeo dell’Educazione alla Cittadinanza Digitale”. Si tratta di un’opportunità unica per favorire, nel decennio 2026-2036, la piena integrazione della cittadinanza digitale in tutta Europa, ma anche un invito rivolto ai governi affinchè si impegnino a renderla un fattore essenziale dei sistemi di istruzione e formazione.
Ovviamente, l’iniziativa costituisce un’importante occasione per stimolare la riflessione dei giovani, non solo sul ruolo attivo e creativo di ciascun user, ma anche sull’uso responsabile e virtuoso della Rete, conferito da un equilibrato bilanciamento tra opportunità tecnologiche digitali e profili etici. Da qui, la necessità di affiancare i giovani nell’utilizzo critico e responsabile della Rete affinchè i dispositivi digitali, necessari per promuovere l’integrazione dell’Educazione alla cittadinanza digitale, possano diventare luoghi sicuri, efficaci strumenti di supporto alla didattica e mezzi di inclusione in caso di bisogni educativi speciali.
Ed è proprio sullo sfondo del principio di una navigazione sicura, che quest’anno hanno assunto particolare rilevanza, sia le celebrazioni del 7 Febbraio, Giornata Nazionale contro il Bullismo e il Cyberbullismo istituita e promossa dalla Commissione Europea nel 2017, sia i festeggiamenti di martedì 11 Febbraio, Giornata Mondiale della Sicurezza in Rete (Safer Internet Day -SID), un evento che nel calendario della sicurezza online si celebra, a decorrere dal 2004, ogni secondo martedì del mese di Febbraio contemporaneamente ad altre 100 nazioni.
Due ricorrenze distinte, ma congiunte da intenti comuni: riconoscere l’importanza nei sistemi scolastici dell’Educazione alla cittadinanza digitale e sensibilizzare i ragazzi all’uso responsabile ed etico della Rete, in modo da scongiurare i pericoli che si celano dietro l’apparente anonimato del web.
Dark web e la navigazione in rete
Internet non è solo una grande enciclopedia ma, anche e soprattutto, un luogo di comunicazione e di scambio reciproco in seno a comunità virtuali nelle quali i ragazzi si avventurano seguendo itinerari propri che li conducono a maturare esperienze di indubbia crescita morale. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una proliferazione di siti popolati di crimini informatici, manipolazioni informative, incitazioni alla denigrazione delle diversità, all’aggressività, la sopraffazione, la molestia, la truffa. Tali spazi risultano visitati da una cospicua massa di internauti, attratta da messaggi di odio e sedotta da materiali grotteschi, oggi riabilitati in nome di una compiaciuta estetica del trash di cui le tecnologie contribuiscono ad amplificare la portata e la risonanza.
Ebbene, nell’arco dei prossimi 10 anni, l’intento della politica europea è quello di plasmare un futuro digitale democratico e ricondurre Internet da mezzo di propaganda della volgarità e della violenza su scala planetaria ad uno strumento di divulgazione di informazioni: uno strumento attivo, positivo, sicuro e accessibile a tutti.
“Together for a better internet”(Insieme per un Internet migliore) è, infatti, il titolo promozionale scelto quest’anno dalla Commissione Europea per celebrare il SID.
La rete come il palco di un teatro
Nell’ultimo ventennio il governo e le istituzioni pubbliche italiane hanno rivolto particolare attenzione a questo attuale quanto triste fenomeno sociale che in passato era esclusivo appannaggio della letteratura scientifica di settore (lo psicologo Olweus in ambito norvegese se ne occupò sin dagli anni ’70). Con cadenza pressochè quotidiana veniamo tragicamente informati di atti di prepotenza compiuti da ragazzi verso i loro coetanei, in un crescendo di gravità che va ben oltre la drammaticità evocata dai media. I dati quantitativi dell’incidenza del fenomeno giustificano ampiamente questa asserzione: il 35% degli adolescenti italiani ha subìto episodi di bullismo, e 1 caso su 3 viene compiuto in ambito scolastico.
Il fenomeno delle prepotenze tra pari ha un’origine antica: atti trasgressivi ed episodi di violenza fisica sono sempre esistiti e non è certo solo in questi ultimi anni che sentiamo parlare di ragazzi che si picchiano o si offendono.
Ma il bullismo è un’altra cosa. Si tratta di una particolare forma di violenza che si compie tra pari, solitamente in età adolescenziale, adottando un comportamento aggressivo, intenzionale, premeditato, ripetuto nel tempo, fondato sull’asimmetria di relazione e compiuto in un contesto di gruppo. Diversamente dalle normali schermaglie tra ragazzi, destinate ad esaurirsi in piccoli scherzi o normali litigi, il bullismo acquisisce tratti persecutori e gli interpreti dell’evento rivestono ruoli ben precisi che vengono scanditi, sia da caratteristiche individuali, sia da aspettative sociali. Il ruolo di protagonista viene incarnato dal bullo (dall’inglese “bully” = “spaccone”) che domina la scena: dotato di una spiccata tendenza all’impulsività e alla conflittualità oltrechè di un elevato livello di autostima, vanta spesso un certo grado di superiorità (vera o presunta) e usa la forza e la propria disinvolta padronanza per attaccare il perseguitato con atti di terrore fisico o psicologico nell’intento di intimidirlo e assoggettarlo sino ad annientarlo. Poi c’è la vittima prescelta -solitamente una persona debole, ansiosa, insicura, dotata di scarsa autostima e un’opinione negativa di sé- che subisce direttamente le conseguenze della dinamica conflittuale: della sua fragilità si nutre il bullo, al quale poco importa se ne ignora l’identità. Infine, il gruppo degli spettatori, che seguono l’evolversi della sopraffazione: generalmente complici del bullo, assistono a quell’esibizione di potere di cui il carnefice assume la regia, e con la loro approvazione conferiscono maggiore spettacolarità e clamore all’operato.
La spietata ribalta del Cyberbulling
Ma il bullismo non si esprime solo attraverso comportamenti persecutori e crudeli pestaggi. Esiste un’altra sua manifestazione, forse più sottile e occulta ma non meno incisiva, il cosiddetto bullismo digitale o cyberbullismo che consiste nell’attaccare psicologicamente, emotivamente o relazionalmente la vittima con azioni intenzionalmente moleste, veicolate da strumenti informatici: mediante la diffusione in chat, nei blog o sui social di pettegolezzi, messaggi denigratori, maldicenze, video e contenuti offensivi riguardanti l’aspetto fisico, lo stile di vita, l’orientamento sessuale, la classe sociale o la nazionalità delle vittime-bersaglio, il bullismo digitale trova la sua applicazione con il plauso dei simpatizzanti. E’ questo il significato di “web reputation”, un’espressione di gran moda nel cyberspazio: la stima e la considerazione in cui il cyberbullo è tenuto dalla tifoseria, è ciò che alimenta la sicurezza di sé. Perchè egli agisce non tanto per esercitare una violenza su qualcuno, quanto per catalizzare su di sé tutta l’attenzione possibile.
Protetto dall’anonimato che la maschera virtuale gli consente, il bullo ha l’impressione di essere invisibile, così come invisibile gli appare la vittima: non una persona vera, ma un’entità priva di emozioni e sentimenti della quale non riesce a cogliere neanche la sofferenza, la frustrazione e l’umiliazione, poichè la relazione che si va a stabilire tra i due è priva di tutta quella serie di riscontri -nella fattispecie, il rantolo di un lamento, una smorfia di dolore- che gli farebbero capire che la sua vittima sta soffrendo. Privo di inibizioni e vergogna perchè scevro da remore morali, il bullo risulta capace di compiere ciò che non avrebbe il coraggio di fare nella vita reale: la consapevolezza di non essere identificato, garantita dall’utilizzo di pseudonimi, fa sentire il sopraffattore a suo agio nell’esprimere l’aggressività, riduce il rischio di essere scoperto e di incorrere in cause legali, In realtà, il cyberbullismo lascia un’impronta digitale: una volta fatte circolare sul web, le manifestazioni d’odio persistono e la Rete le fa riemergere a cadenza regolare in altre piattaforme o circuiti.
Devianza o disagio minorile?
E’ vero che l’aggressività trova terreno fecondo nell’identità instabile, eterodiretta e potenzialmente disadattata tipica dell’età adolescenziale e nel contesto sociale contemporaneo segnato da carenze civiche e valoriali. Ed è altrettanto vero che gli adolescenti, assetati di visibilità, fanno di tutto per attirare su di sé l’attenzione dei coetanei in modo da raccogliere, da un ambiente sociale più ampio, quel riconoscimento che il più delle volte non ricevono in famiglia. Ma nei bulli le sopraffazioni fisiche e digitali costituiscono un elemento centrale nella loro vita: indifferenti rispetto agli atti di violenza che compiono, la loro socialità si alimenta dell’immediata euforia che si sprigiona nell’atto stesso di sottomettere la vittima e nell’assaporare, in compagnia dei sostenitori, le manifestazioni di sofferenza palesate dalla stessa che subisce senza riuscire a difendersi. Pregno di baldanza, il bullo riceve gratificazione dalla ricerca dell’approvazione degli altri che, incitandolo, svolgono un ruolo di rinforzo teso ad accrescere la sua già elevata autostima e il suo senso di autoefficacia.
Indicatore di problemi sociali latenti, il bullismo è la spia più eclatante di un insostenibile disagio giovanile: oltre ad un’innegabile influenza dei fattori biologici, ogni comportamento trasgressivo rivela un coacervo di dinamiche interiori che s’intrecciano combinando sviluppo psichico e costellazioni sociali. Il contesto sociale contemporaneo, con la sua grave carenza valoriale e i suoi molteplici modelli d’identificazione, rappresenta un indicatore estremamente condizionante che può già di per sé condurre le giovani generazioni ad assumere uno stile di vita caratterizzato da disturbi del comportamento. Potendo entrare nelle abitazioni dove vivono i nostri giovani, frequentemente ci imbatteremmo in case non vissute: dimore come semplici luoghi di sosta, dove raramente ci si ritrova insieme e ci si racconta, ci si confronta, si relaziona. Tutt’al più intercorre un rapido scambio di informazioni indispensabili, qualche accenno, mezze frasi, ma ogni forma di ascolto e di dialogo decade. E con essi, ogni forma di emozione.