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DIVERSITA’ E INCLUSIONE

A Fondi, nel sud della provincia di Latina, una scuola è finita al centro di una controversia che ha turbato profondamente le coscienze. Motivo del contendere: la composizione di tre classi prime della scuola primaria Alfredo Aspri, costituite da “un’esuberanza di stranieri”, per dirla con il sindaco di Fondi. Di fronte alla constatazione di un’alta percentuale di alunni stranieri, la protesta di alcune famiglie italiane è sfociata nella decisione, pressochè unanime, di chiedere in blocco il nulla- osta per ritirare i propri figli dalle classi nelle quali, secondo loro, erano inseriti troppi alunni stranieri. Senonchè, con la loro iscrizione in altre scuole della città avrebbero determinato la formazione di ‘classi-ghetto’ composte da soli alunni stranieri: una classe risultava composta da soli alunni indiani e bengalesi, una da soli albanesi e pakistani e un’altra era composta da soli italiani. E’ inimmaginabile l’idea di strutturare gruppi-classe a seconda dell’appartenenza ad una certa etnia o religione.
Il comportamento delle famiglie italiane ha suscitato immediate reazioni tra le comunità più rappresentative del tessuto societario di Fondi -quelle indiane, pakistane e albanesi- che l’hanno additato come atto discriminatorio. In particolare, le famiglie di nazionalità indiana, sostenute dal presidente della comunità indiana del Lazio, avrebbero addirittura valutato la possibilità di ritirare a loro volta i propri figli dalla scuola.
L’accaduto, che ha fatto rapidamente il giro delle cronache nazionali, ha attirato l’attenzione delle autorità scolastiche: il Direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio, dopo aver placato il malcontento dei genitori rassicurandoli che si sarebbe trattato di una “situazione temporanea”, ha immediatamente richiamato la dirigente scolastica affinchè provvedesse a riequilibrare la formazione delle classi nell’intento di ristabilire un equo bilanciamento tra alunni italiani e stranieri.

Il DIVERSO FA PAURA

Lo spiacevole evento ha sollevato importanti interrogativi sul livello di inclusione sociale e sulla necessità di promuovere una cultura del rispetto per le diversità etnico-nazionali. Perchè il diverso sgomenta?
L’avversione nei confronti del diverso, termine che incarna una connotazione implicitamente ed archetipicamente negativa, affonda le sue radici nell’atavica paura dell’uomo nei confronti di ciò che non conosce. Diverso è chi la pensa in altro modo, chi ha origini etniche, culturali e religiose non affini o, semplicemente, chi presenta peculiarità che si discostano dalla consuetudine. Diverso è lo straniero.
Sfuggendo al controllo, la diversità viene percepita come una minaccia alle rassicuranti abitudini di un’esistenza costruita sui binari della tradizione: trovare riparo nella stabile uniformità di comportamento e di pensiero, lontana da forme di inquietante sconvolgimento, funge da confort zone. La diversità è, quindi, di per sè un elemento destabilizzante perchè, discostandosi dalla conformità e dalla somiglianza, costringe l’essere umano a mettere in discussione le proprie credenze, i propri valori, i presupposti di base su cui costruisce la propria identità, sia individuale che collettiva. ll confronto con il diverso incute paura; l’omogeneità rassicura perchè conferma certezze consolidate.
Ma l’omogeneità non è una qualità naturale: è una condizione necessaria per sostenere il principio di eguaglianza sociale, che alla fine si eleva a ‘regola’ per tutti coloro che presentano certe affinità. Al contrario l’eterogeneità, vista come una forma di deviazione della norma, è impegnativa da gestire e può anche diventare pericolosa. Questo sentire comune si riflette direttamente sugli immaginari delle persone e degli operatori scolastici che tenderebbero a costituire le proprie classi sulla base del principio di somiglianza. Pertanto, l’inserimento in classe di un bambino straniero e che, magari, non parla neppure l’italiano, è spesso visto come un rischio perché incrina un equilibrio preesistente. Non solo, la sua presenza comporta anche problemi didattici oltrechè burocratici, organizzativi e relazionali.

LA DIVERSITA’ CREA STEREOTIPI E PREGIUDIZI

Nonostante la consapevolezza di vivere in un mondo socialmente e culturalmente multiforme e diversificato, l’uomo -ancora istintivamente orientato a rifuggire il diverso come via d’uscita dal disagio e dall’angoscia- tende a privilegiare l’omogeneità sulla differenza e l’originale individualità. Il timore per il diverso conduce l’uomo verso una forma difensiva -lo stereotipo, su cui si fonda il pregiudizio- quale scorciatoia utilizzata strategicamente e inconsapevolmente dalla mente umana nel tentativo di proteggersi dall’ignoto: dinanzi ad un soggetto diverso dal proprio Sé, la mente umana attiva dei meccanismi simili a quelli che entrano in azione a livello biologico a seguito dell’incontro con agenti estranei, ritenuti dannosi per la nostra salute.

Ebbene, come il sistema immunitario interviene per proteggerci da eventuali alterazioni patogene, allo stesso modo uno straniero, percepito come diverso, implica l’attivazione di una certa inquietudine derivante dalla minaccia che qualcosa di dissimile dal proprio Sé possa mutare l’equilibrio esistenziale.
In Italia prevale un atteggiamento diffidente e schivo nei confronti dello straniero, supportato dalla comune convinzione che il fenomeno migratorio sia correlato ad un aumento del tasso di criminalità. Supposizioni, queste, che i media tendono ad enfatizzare in tono spesso allarmistico e preoccupante.
Sulla base di queste considerazioni siamo indotti a pensare che, in fin dei conti, non si è proprio così tolleranti come si professa di essere. Accoglienza e ostilità continuano a fronteggiarsi. Eppure, la migrazione nel nostro Paese ha da tempo assunto una dimensione esponenziale e il carattere della condizione globale permanente, per cui la multiculturalità si configura come una questione di ordine sociale: il fenomeno migratorio può oramai considerarsi elemento strutturale e costitutivo dell’intero sistema sociale e formativo.

LA COSTRUZIONE SOCIALE DELLE DIVERSITA’

Integrare identità e differenze è il compito di ogni società civile che si rispetti, e la scuola, come prima istituzione sociale pubblica, è chiamata all’accoglienza e all’inclusione. Ciononostante, emergono ancora delle criticità che, continuando a permanere nelle trame del tessuto societario, offendono e inquietano la coscienza civile e la sensibilità pedagogica.
Dove sta, allora, l’inghippo? Per creare una comunità educante che si elevi ad esercizio primario di civiltà e democrazia è sufficiente procedere ad una distribuzione degli alunni stranieri nelle classi secondo una proporzione adeguata tra italiani e stranieri?
Se la soluzione al problema di un’efficace integrazione fosse semplicemente quella dell’accoglienza fondata su un equo bilanciamento etnico, allora la città di Fondi -insieme a molte altre- dovrebbe elevarsi ad esempio. Perchè è proprio ciò che è avvenuto il 20 settembre, a pochi giorni dall’avvio dell’anno scolastico, nella cittadina laziale al termine di un’assemblea -presenti la preside, il sindaco, il vicesindaco e i genitori delle classi coinvolte- in cui è prevalso il buonsenso. La verità è che per poter creare una società attiva, supportata dalla progressiva consapevolezza di una cittadinanza aperta alla partecipazione democratica e alla mondialità, è necessario creare le condizioni necessarie all’instaurarsi di significativi rapporti di interazione tra i membri della società ospitante e quelli delle altre etnie che vi si sono insediate. Assimilare identità e differenze è la sfida più difficile e impegnativa del presente; una frontiera che, inevitabilmente, chiama in causa nuovi paradigmi pedagogici. Perchè anche la scuola, che si pone in un rapporto di omologia formale con la società, deve configurarsi come un contesto aperto all’accoglienza, all’inclusione e all’interculturalità. E ciò, mediante la creazione di momenti di incontro, di contatto e di dialogo, inteso soprattutto come capacità di ascolto: condividere un ambiente comune senza dialogo, senza fecondità di relazioni, senza una fiduciosa conoscenza reciproca si traduce in una semplice giustapposizione di storie, di vissuti, di narrazioni. Da qui, la necessità di approdare ad una conciliazione costruttiva tra identità e diversità forgiando una scuola come spazio di incontro, di aggregazione e integrazione fra chi arriva da lontano e chi vive stabilmente in quel luogo, fra tradizioni e culture diverse; una condizione educativa viva, dinamica, animata da un intenzionale senso di appartenenza. Ovviamente, affinché la reciprocità società/scuola e immigrati/alunni possa funzionare proficuamente, entrambe le parti devono proporsi come sistemi aperti. E praticare l’arte del convivere con la diversità. Ma in che modo?

Foto di Tammy Duggan-Herd da Pixabay

IL VALORE POSITIVO DELLA DIVERSITA’

La convivenza con la diversità è possibile solo guardando ad essa, non come ad un ostacolo ma come ad una ricchezza, una risorsa, una potenzialità, e imparando ad arricchirsi con i tesori di saggezza ed esperienza dell’altro da noi, in modo da ripromettersi la costruzione di un’autentica comunità sociale. Anche con le famiglie degli alunni dovrebbe realizzarsi una convivenza pacifica e integrata. Perchè una comunità vera deve riuscire a coniugare identità e alterità, uguaglianza e differenza, sia tra nazioni che tra generazioni, favorendo la corresponsabilità relazionale mediante l’ascolto e il dialogo, oltre ad un alfabeto emotivo e una fiducia empatica come presupposto dell’appartenenza e antidoto alla paura del diverso.
Anche i genitori degli alunni stranieri, che vivono l’ingresso a scuola dei loro figli con emozioni e sentimenti contrastanti, devono contribuire al perseguimento del fine comune, ovvero il benessere dell’intera scolaresca, mediante un coinvolgimento ed una responsabilizzazione all’agire sociale determinati da una dominanza di interessi collettivi. Perchè le differenze esistono, sono qualcosa che appartiene ad ognuno di noi e su cui si fonda la nostra identità sociale, ma se vengono malgestite, si amplificano e si moltiplicano creando solo conflitti e incomprensioni. Perchè la tolleranza, che si compiace dell’alterità e se ne arricchisce, è scarsamente permeata nel nostro modello di vita societaria e nella scuola. Ecco allora che per conseguire l’ambizioso obiettivo di un futuro pregno di vera umanità è necessario che la scuola, innanzitutto, dimostri ai genitori stranieri che sono i benvenuti e che le diversità sono considerate un valore aggiunto; successivamente, che sviluppi strategie di comunicazione efficaci, in modo da avviare un dialogo reciproco e un equo rapporto relazionale. E’ molto importante dare voce alle famiglie straniere per costruire spazi di comprensione all’interno della scuola; diversamente, si sentirebbero escluse o non adeguatamente valorizzate.

A SCUOLA DI UMANITA’

A proposito di apertura relazionale e intersoggettiva nella scuola, vale la pena ricordare che il saper vivere insieme agli altri, quale bisogno essenziale per conferire alla vita di ogni essere umano senso e significato, rappresenta -secondo l’indicazione UNESCO per il 21° secolo- il livello di competenza più elevato. Nell’Agenda ONU 2030 l’Obiettivo n.4 raccomanda, infatti, alle scuole di “assicurarsi che tutti gli studenti acquisiscano .. una cultura di pace e di non violenza, la cittadinanza globale e la valorizzazione della diversità culturale”.
In sostanza, l’impegno di ogni comunità educante deve essere quello di alimentare nei giovani un atteggiamento mentale e culturale che allontani dai loro cuori la freddezza dell’indifferenza e l’aridità del pregiudizio: avviandoli a superare l’impatto con l’inevitabile molteplicità delle naturali differenze antropologico-culturali esistenti, occorre educarli alla comprensione e alla consapevolezza del diverso come altro da sé, alla sua accettazione e, soprattutto, al rispetto della sua dignità. Perchè ogni individuo, al di là dell’etnia, della cultura e della storia personale, è un ente morale, un crogiolo di valori. E’ una persona.


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Angela Gadducci
Author: Angela Gadducci

Angela Gadducci è una professoressa con incarico articoli per la sezione etica e società ma anche storia e cultura. Già Dirigente scolastica e Coordinatrice di Attività di Ricerca didattica presso le Università di Pisa e Firenze, è autrice di articoli e libri di politica scolastica. Significative le sue collaborazioni con le riviste Scuola italiana Moderna, Scuola 7, Continuità e Scuola, Rassegna dell’Istruzione, Opinioni Nuove, Il Mondo SMCE.

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