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L’EUROPA DEL FUTURO?

LA UE NELLA PROPRIA INTETTITUDINE VERRA' ANNIENTATA O FINALMENTE VEDRA' UNA RINASCITA?

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L’Europa che verrà

Mentre un gelido e ridotto schieramento di ufficiali, sergenti e soldati russi sfilava il 9 maggio sulla Piazza Rossa per commemorare la “Giornata della Vittoria”, nel nostro continente monumenti, palazzi comunali, piazze e luoghi della cultura in genere si illuminavano di azzurro-blu per celebrare la “Giornata dell’Europa”, un’occasione per rappresentare la storia, l’identità e l’unità europea, sviluppare una coscienza democratica, alimentare il sentimento della pace e il principio di cooperazione.

La data individuata per la celebrazione, che viene onorata ogni anno a decorrere dal 1985, è da ricondurre alla storica dichiarazione che l’allora Ministro degli Esteri francese Schuman pronunciò a Parigi il 9 maggio 1950 avanzando la proposta di una nuova forma di  partnership politica che avrebbe scongiurato una guerra tra le nazioni europee aderenti. Prostrata da due guerre sanguinose e dall’indebolimento della sua posizione nel mondo, l’Europa aveva maturato la consapevolezza che solo attraverso una pacifica concertazione sarebbe stato possibile realizzare il sogno di un’unione europea forte e responsabile.

Tale proposito iniziò a prendere corpo già l’anno successivo, nel 1951, con la firma del Trattato di Parigi che diede vita alla CECA, l’istituzione europea che avrebbe messo in comune e gestito la produzione del carbone e dell’acciaio, materiali che all’epoca costituivano il presupposto di qualsiasi potenza militare. In seguito si incorporarono altre attività economiche come l’agricoltura, per approdare infine ad un autentico mercato unico di merci, persone, servizi e capitali, cui si aggiunse, nel 1999, una moneta unica.

Foto di OpenClipart-Vectors da Pixabay

Da allora in poi si è assistito ad una dilatazione sempre più ampia della dimensione europea (dai 6 Paesi fondatori agli attuali 27 Stati membri), dello spirito democratico e del valore dell’unione che, pur tra difficoltà e contraddizioni, ha comunque garantito un lungo periodo di pace.

Oggi, purtroppo, siamo nella condizione di dover affrontare emergenze considerevoli: lo spettro di guerre di contiguità (quella russo-ucraina, quella israelo-palestinese e israelo-iraniana), il timore di rivendicazioni terroristiche, l’intrapresa di politiche sbagliate, ma anche derive nazionalistiche e riemersione del razzismo. E il rischio a cui stiamo andando incontro potrebbe essere quello di una disgregazione della comunità europea con conseguente indebolimento dell’unità dei Paesi che ad oggi la compongono.

 

Integrazione, fattore di unità e di crescita

L’idea di un’Europa unita, presente già in epoca greca (la cd prima Europa) quando la si contrapponeva ai continenti orientali delineando un’antitesi tra il modello di civiltà europeo e quello asiatico, rappresentò -all’epoca di Alessandro Magno- la base per la costituzione di un’unione territoriale tra Europa e Asia (la cd seconda Europa), nonché solide radici per l’edificazione -all’epoca di Carlo Magno- del Sacro Romano Impero (la cd terza Europa), una vera e propria confederazione di Stati appartenenti all’Europa centrale e occidentale, che durò circa un millennio.  Ma ci vorranno molti secoli ancora per addivenire ad un’Europa unita anche sotto il profilo politico.

Numerosi sono stati, nel corso della storia, i tentativi di approdo ad un’Europa politicamente integrata. Volendo risalire alle origini, merita forse ripercorrere alcune tappe e ricordare le figure storiche più significative che hanno contribuito a tradurre in realtà concreta un semplice proponimento.

L’idea di un unico stato europeo era stata più volte oggetto di riflessione da parte di filosofi, scrittori e politici. Nell’opera “Per la pace perpetua” del 1795, Kant asseriva che il diritto internazionale doveva essere fondato su un federalismo di liberi Stati, mentre Victor Hugo in occasione della seduta di apertura della Conferenza internazionale di Pace svoltasi a Parigi nell’agosto 1849, tenne un appassionato discorso in cui preconizzava il giorno in cui, a suo parere, sarebbero sorti Les États-Unis d’Europe e si sarebbe finalmente imposta la pace universale.

In Italia Mazzini lottò per l’uguaglianza e la fratellanza dei popoli europei aspirando ad un’intesa tra le libere nazioni europee che, pur mantenendo ciascuna la propria identità, si sentissero unite dal sentimento del comune destino continentale. Nel 1834 fondò, infatti, la Giovine Europa che tra i suoi princìpi ispiratori contava appunto quello della costituzione degli Stati Uniti d’Europa, mentre nel 1866 istituì quell’Alleanza Repubblicana Universale che avrebbe dovuto liberare Roma e instaurare la repubblica. Anche Garibaldi auspicava l’unificazione politica del continente, tant’è che nel suo “Memorandum alle potenze d’Europa” del 1860, sostenendo che l’unione dei popoli europei avrebbe rappresentato la soluzione ai conflitti che da secoli stavano dominando la scena politica europea, affermava che il vero progresso di una società si realizzava, non attraverso il finanziamento della guerra, ma attraverso l’investimento nella pace.

Foto di OpenClipart-Vectors da Pixabay

Senonchè le diversità tra i popoli e le rivalità politiche hanno sempre impedito l’ effettiva realizzazione di un organismo sovranazionale cui affidare la salvaguardia dell’unione e della pace. Fu solo dopo gli orrori dei due conflitti mondiali che si concretizzò l’idea di un reale progetto di Europa unita. Tra i promotori, tanto per citarne qualcuno, meritano di essere ricordati l’ex Primo Ministro britannico  Churchill e il politico ideologo brianzolo Turati: invitando i Paesi dell’Europa continentale ad unirsi per contenere e isolare la rivoluzione bolscevica in Russia, Churchill, in occasione del suo discorso all’Università di Zurigo nel 1946, avanzò l’idea di reintegrare la “famiglia europea” mediante l’edificazione di “una sorta di Stati Uniti d’Europa”, e Turati, convinto sostenitore di un federalismo europeo, esaltando l’aspirazione del grande apostolo Mazzini consigliava all’Europa di seguire l’esempio statunitense.

Nescita dell’Unione Europea

Nella storia recente la tappa fondamentale per il processo di unificazione europea è da ricondurre alla prima elezione a suffragio universale del Parlamento europeo avvenuta nel 1979, dopo che il “Manifesto di Ventotène” -il titolo completo è “Manifesto per un’Europa libera ed unita”- scritto nel 1941 da Spinelli e Rossi durante il loro periodo di confino nell’isola omonima e pubblicato clandestinamente da Colorni solo nel 1944, aveva gettato le basi per la costituzione di un’Europa federalista, un esercito europeo e una politica estera europea.

Dopo la caduta nel 1989 del muro di Berlino si pensò che saremmo vissuti per lungo tempo in un ordine mondiale stabile e libero da conflitti, dove il rispetto dei diritti umani ne avrebbe costituito il fondamento. Senonchè tale certezza venne meno pochi anni dopo: con i tragici eventi dell’11 settembre 2001 il fanatismo religioso, il nazionalismo etnico, il razzismo e il terrorismo cominciarono a proliferare costituendo terreno fertile per conflitti, povertà e sottosviluppo che continuarono a crescere e a diffondersi.

Per un’Europa più democratica e forte

Dopo il Trattato di Nizza del febbraio 2001 e la Dichiarazione di Laeken sottoscritta a Laeken in Belgio nel dicembre 2001, il processo d’integrazione sovranazionale subì una battuta di arresto: il Progetto di trattato che intendeva adottare una Costituzione per l’Europa (Roma, 2004) non è mai entrato in vigore perchè rigettato nel 2005 da Francia e Olanda nel quadro dei rispettivi referendum nazionali. Sarà il Trattato di Lisbona del 2009 (la sua stesura risale al 2007) a conferire legittimità al processo di Unione Europea.

Una soluzione di compromesso? Forse. Ma nonostante la minore valenza simbolica testimoniata dall’estromissione del termine Costituzione, il Trattato di Lisbona ricalcava per oltre il 90% le disposizioni contenute nel Trattato per la Costituzione Europea che riconosceva come principi fondanti l’uguaglianza democratica, la democrazia rappresentativa e partecipativa, e la coesione sociale. Infatti, l’adozione nel 2010 del motto “Unita nella diversità”, che racchiudeva in sé lo spirito e il senso della sua istituzione, intendeva conferire rilievo a tutte le diversità che contraddistinguevano (e contraddistinguono) i cittadini d’Europa: la difesa e il rafforzato attaccamento alle proprie lingua, religione e tradizione culturale, sentitamente preservate nel corso dei secoli, delineavano un’Europa molteplice, variegata, ma custode delle proprie radici nazionali, regionali, locali. Si trattava di realtà culturali differenti animate dal proponimento di mantenere fede alle proprie singole identità, benchè orientate a divenire un tutt’uno, una medesima entità economico-politica, un’unità nella molteplicità, un IO nel NOI.

Da qui, l’importanza dei valori del rispetto, dell’eguaglianza, dell’accoglienza, della convivenza, della parità di genere, della cooperazione, della cittadinanza, della pace. Perchè Unione Europea, con l’accoglimento dei valori liberali, la costruzione di una cultura del rispetto per i diritti umani, la condivisione del sentimento democratico su cui poggia la solidarietà tra i popoli, significa non solo definizione di un’identità e di una coscienza comune, ma anche realizzazione di una condizione di pace. Dove la nozione di pace va ben oltre la semplice assenza di guerra.

Foto di Tatyana Kazakova da Pixabay

Al di là del trionfo di una folle egemonia che, producendo violenza e distruzione, lutti e disperazione, si accompagna al disprezzo per la vita umana con conseguente decadenza del suo valore, pace si configura oggi come una strategia, una modalità non violenta per gestire la complessità che caratterizza il nostro tempo, punteggiato da situazioni problematiche di vario tipo: cambiamenti climatici irreversibili, gestione di rifugiati e migranti, conflitti multietnici e multiculturali, decremento  demografico, alti tassi di disoccupazione e povertà, di criminalità e terrorismo, senza considerare i nuovi scenari che potrebbero profilarsi a seguito degli insani conflitti di sangue e carne scoppiati a pochi passi da noi.

Costuire la pace è possibile

In questo preciso momento storico in cui le tragedie che hanno costellato il secolo scorso sembrano tornare sospinte dalla paura, la previsione di un’umanità coesa e animata da spirito di fratellanza, confligge con le prospettive che attualmente allarmano la comunità planetaria. Permeati da individualismi, da connotazioni egoistiche, e agitati da rancore e odio, i nemici delle libertà umane, adottando comportamenti ispirati all’eversione e al razzismo, continuano a mostrare insofferenza per la democrazia e per la bellezza delle diversità, utilizzando la violenza come modalità di regolazione dei contrasti. Ed è quasi impensabile che nel nostro continente, già devastato nel corso del ‘900 da due guerre mondiali, si possa ancora ricorrere allo strumento militare per risolvere problemi e contese.

E’ evidente che la società civile non può restare indifferente di fronte alle minacce provenienti da scenari di guerra, né risulterebbe accettabile che, dichiarandosi contraria allo stato di guerra, se ne stesse in disparte, al riparo, in attesa che tutto passi. Perchè un atteggiamento siffatto non rappresenterebbe certo una condizione di pace: non gode di pace vera chi si impone di non adempiere al proprio compito che è quello di vivere la vita, di partecipare alla vita comunitaria e, quindi, alla storia.  

Quando si parla di storia, si parla della vita stessa e delle ragioni del vivere. E ogni individuo deve essere messo nella condizione di poter vivere in maniera sobria, semplice, attivando comportamenti di pace come orizzonte da raggiungere, come fine possibile da perseguire, come auspicabile condizione di vita umana.

Educare alla pace

Da qui la necessità che, in un momento storico come quello attuale attraversato da cambiamenti epocali e scosso da conflitti accompagnati da pericolosi processi di disgregazione sociale, gli attori del processo d’integrazione europea si interroghino seriamente su quali azioni poter intraprendere nell’interesse generale dei popoli europei.

La risposta, proveniente dal mondo dell’istruzione, è univoca: dobbiamo e possiamo insegnare la pace, come impresa collettiva. In che modo?

Educando i giovani a governare la complessità in cui ci troviamo immersi, educandoli  a gestire in modo positivo contrarietà, disordini, conflitti personali e relazionali, avviandoli ad una convivenza pacifica e, quindi, al pluralismo, al confronto, al dialogo, alla tolleranza reciproca, all’accettazione del diverso, in modo da assaporare quella situazione di benessere che, rispondendo a principi di giustizia sociale e dignità umana, si nutre di cittadinanza attiva, di partecipazione responsabile e pratiche di impegno civico.

L’istruzione costituisce un elemento nodale nella costruzione di un’Europa dei cittadini di domani. E il confronto integrativo tra le differenti tradizioni educative deve condurre ad un progressivo avvicinamento dei progetti di riforma organizzativa e gestionale delle varie istituzioni formative, in modo da pervenire ad un autentico processo di europeizzazione dell’istruzione: l’eterogeneità etnica e culturale delle popolazioni scolastiche deve rappresentare l’occasione, sia di un appredimento interculturale, sia di una presa di coscienza dell’identità europea di ciascun cittadino. Perchè l’Europa contemporanea è l’Europa delle differenze e delle diversità. E il suo carattere distintivo è proprio la straordinaria portata di eredità storica (la filosofia greca, il diritto romano, la tradizione religiosa ebraico-cristiana), con cui le varie realtà culturali sono chiamate a coesistere, senza peraltro smarrire le loro originarie specificità.

Sul furuto dell’Europa

Certo è che il progetto d’integrazione europea è ancora ben lontano dall’essere concluso. Forse non si realizzerà mai compiutamente, perchè l’Europa può essere paragonata ad un enorme cantiere sociale in continuo divenire. Sarebbe già significativo se, nella prospettiva di un rinascimento europeo, il pluralismo culturale venisse vissuto non come un intralcio bensì come un bene comune, una risorsa fondamentale per lo sviluppo di una comunità sociale prospera e libera, pacificamente diversificata e aperta verso l’esterno. Ed è proprio questa la posta in gioco all’imminente quinquennale appuntamento con le elezioni europee previste in Italia per l’8 e il 9 giugno: i 76 europarlamentari che gli italiani eleggeranno saranno chiamati, nel corso della legislatura 2024-2029, a svolgere il fondamentale compito di colegiferare (insieme ai rappresentanti delle altre istituzioni dell’Unione) su questioni invocate dai cittadini con sempre maggiore urgenza: azioni più incisive contro l’accrescimento delle disuguaglianze e creazione di nuovi sistemi di welfare, azioni più efficaci a tutela dell’ambiente, della sicurezza e della difesa autonoma oltre il sostegno all’industria bellica. Senza, comunque, trascurare come gestire l’allargamento dell’Unione ad altri Stati e come poter affrontare le instabilità crescenti della sponda sud del Mediterraneo. 

Attualmente il nostro continente è l’Europa del mercato unico, della moneta unica, della Carta dei diritti fondamentali, della cittadinanza, della libertà e sussidiarietà. Ciò che le viene oggi richiesto è di diventare l’Europa della Costituzione.

 

 

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Author: Angela Gadducci

Angela Gadducci è una professoressa con incarico articoli per la sezione etica e società ma anche storia e cultura. Già Dirigente scolastica e Coordinatrice di Attività di Ricerca didattica presso le Università di Pisa e Firenze, è autrice di articoli e libri di politica scolastica. Significative le sue collaborazioni con le riviste Scuola italiana Moderna, Scuola 7, Continuità e Scuola, Rassegna dell’Istruzione, Opinioni Nuove, Il Mondo SMCE.